Il Brand Positioning – La Guida Definitiva

Ciao!

Non ci crederai ma sto iniziando questo articolo con il sorriso sulle labbra. Il sorriso è dovuto al fatto che non avrei mai immaginato che 57.000 persone avrebbero letto il mio primo articolo sul Perché questo Blog.

Ero sicuro di aver costruito un bel seguito negli anni, ma 50.000 persone che leggono un mio articolo lunghissimo, in cui racconto di me, non potevo proprio immaginarle.

È motivo di grande orgoglio per me, ma anche di grande responsabilità, perché come diceva Caparezza “Il secondo album è sempre il più difficile“.

Le aspettative di 50.000 persone sono altissime e io non posso deluderle.

Perciò partiamo a mille!

In questo articolo voglio spiegarti che cos’è Il Brand Positioning è perché è fondamentale per qualsiasi azienda ma anche per un freelance o una partita iva.

Per ovvie ragioni nessun articolo può essere esaustivo di una materia tanto complessa, ma questo è senza alcun dubbio il più completo che trovi al mondo.

Alla fine di questo articolo, ti prometto che avrai imparato moltissime cose che non sapevi ed avrai capito bene alcune cose che avevi vagamente intuito semplicemente guardandoti intorno.

Premessa: in questa intervista che mi ha fatto SkyTG24, ho condensato in 7 minuti il Brand Positioning, il Focus.

Ti consiglio di guardarla e poi proseguire nella lettura.

IL BRAND POSITIONING – COS’È

Il Brand Positioning è in assoluto la disciplina più importante quando si parla di Marketing.

Il Brand Positioning (o Posizionamento di Marca) sta al Marketing come le fondamenta stanno ad un palazzo: senza fondamenta qualsiasi palazzo crolla, anche se realizzato con materiali eccellenti. 

Allo stesso modo, senza posizionamento qualsiasi strategia di Marketing è assolutamente inutile proprio perché  il posizionamento è l’unica strategia di Marketing da seguire.

In questo lungo articolo ti spiegherò il perché il Brand Positioning è ciò che rende un’impresa profittevole e la aiuta a prosperare.

Prima, però, è importante tu capisca il perché oggi siamo bombardati di spot tutti uguali, di aziende tutte uguali, e di messaggi di Marketing simpatici, buffi, divertenti ma che nulla hanno a che vedere con lo scopo vero del Marketing.

E qui arriva la prima vera domanda:

CHE COS’È IL MARKETING?

Per rispondere a questa domanda dovrei scrivere un trattato e prometto che lo farò.

In questa sede mi limiterò a semplificare molto, e a spiegarti solo il necessario per proseguire con il Brand Positioning.

II Marketing è una promessa.

Il Marketing è una promessa irresistibile, assolutamente da mantenere, che serve a spiegare alle persone che hanno un problema il perché devono comprare la tua soluzione a quel problema, anziché quella di un tuo competitor, e molto spesso anche a dissuaderle dal non comprare nulla

Inoltre, dopo aver convinto le persone che la tua soluzione è la migliore, il Marketing ha il compito di spiegargli il perché devono comprarla ora e non tra una settimana o un mese, che spesso diventa mai.

La promessa di solito viene chiamata offerta ed è diffusa  attraverso una campagna.

Vedi che piano piano comincia a dipanarsi la matassa?

Lancio una campagna, con cui faccio una promessa. 

Ma qual è lo scopo di tutto questo?

Vendere, ovviamente, no?

Esatto. 

Il Marketing si fa per la Vendita.

Ma è qui la chiave di tutto: il Marketing e la Vendita sono due attività sicuramente complementari ma molto distinte.

Devi immaginare la Vendita come il Goal, mentre il Marketing è l’azione che parte dal centrocampo, se non addirittura dalla difesa, e termina con l’assist per il Venditore.

Ti ho raccontato di quando giocavo a calcio a 5? Beh, io non ero un grande goleador. 

Segnavo, e segnavo spesso, ma la mia specialità erano gli assist.

Scartavo tutti e poi consegnavo la palla ad un compagno che doveva solo spingerla dentro.

Nel tabellino dei marcatori ci finiva lui, era suo il nome consegnato alla storia, ma il mio restava nella testa di tutti. 

Lo sapevano tutti che gran parte del merito di quel goal era mio.

A fine partita, nello spogliatoio, la festa era collettiva, ma gli abbracci più forti erano tutti per me. Soprattutto quelli di chi aveva fatto goal.

Fare gol è una gioia immensa, egoisticamente parlando, ma fare assist, credimi, non ha eguali.

Guarda i primi 13 secondi di questo video.

Di chi è il gol secondo te? 

Torniamo al Marketing.

Lo scopo di tutto è vendere, ma un uomo di Marketing vero sa che il compito ultimo del Marketing è quello di rendere il più possibile semplice la vendita.

Il compito del Marketing è quello di rendere il più possibile semplice la Vendita.

Il motivo per cui io ho abbandonato le vendite e mi sono dedicato al Marketing deriva proprio dalla scarsa comprensione di questo semplice rigo.

Io lavoravo nelle vendite del gruppo eni, vendevo quindi prodotti e servizi di eni, un Brand internazionale tra i più noti al mondo. 

I servizi che vendevo io non erano affatto migliori di quelli dei competitor, anzi erano pressoché identici. 

Ma… Erano molto più costosi e anche più difficili da ottenere, perché eni faceva una scrematura dei clienti a monte.

Te lo ridico nel modo più semplice possibile: eni costa più dei competitor e a molti clienti potenziali dice chiaramente: non ti voglio come cliente.

Eppure è leader di mercato.

Poi col tempo ho capito che in realtà è leader di mercato proprio perché più costoso e più difficile da ottenere.

Chiaro il concetto? Tra due servizi sostanzialmente identici, la gente voleva quello più costoso ed anche più difficile da ottenere.

Potere del Brand.

Questa è la famosa legge della leadership.

Teorizzata dai miei amati Al Ries & Jack Trout, la legge della leadership ci dice che non è necessario essere i migliori tra i competitors ma è fondamentale posizionarsi per primi nella mente dei potenziali clienti quando questi pensano ad una determinata categoria.

Il marketing è una battaglia di percezioni, impressioni e sensazioni, non di prodotti. 

È molto più importante, quindi, essere i primi nella testa delle persone quando pensano ad un “problema => soluzione”, anziché cercare di convincerle che le caratteristiche del nostro prodotto lo rendono migliore di quello dei nostri competitor.

Migliore, non significa niente.

Meglio essere i primi che meglio degli altri

Al Ries & Jack Trout

Vendere i prodotti o i servizi di un Brand Leader è molto diverso dal vendere quelli del Brand n° 120, anzi, vendere quelli del 120° è pressoché impossibile, a meno che non siano i meno costosi in assoluto.

Il problema è diventare Leader. 

Ed è qui che arriva il Brand Positioning.

Per spiegarti il Brand Positioning ti racconto una storia.

C’era una volta un grande Brand.

Blockbuster nasce a Dallas, in Texas, nel 1985.

Negli anni 90 inizia la sua crescita vertiginosa. 

Nel 2004 la catena raggiunge il suo apice con 9.000 negozi sparsi nel mondo, di cui oltre 200 in Italia, e circa 85.000 dipendenti.

Poi un bel giorno è arrivato Netflix.

Attenzione: questo è un passaggio importantissimo.

Netflix che cos’è? 

Seguimi bene. 

Netflix non è nient’altro che un modo diverso di offrire la stessa identica soluzione al problema che anche Blockbuster risolveva.

La parola chiave è diverso.

Il mio articolo potrebbe finire qui perché il succo del fare impresa è qui: devi creare una variante di un prodotto o di un servizio che esiste già sul mercato, ma che è più adatto per una nicchia specifica.

Ora presta bene attenzione.

Nel grafico qui sopra vediamo l’andamento di BlockBuster e quello di Netflix, fino al tracollo di Blockbuster.

Che cosa è successo?

Man mano che Netlfix cresceva, i punti vendita Blockbuster chiudevano e diventavano delle parafarmacie.

Alla fine chiusero tutti.

Tutti tranne uno, in Oregon

Cos’ha di particolare questo punto vendita in Oregon? Perché resiste, unico al mondo?

Addirittura il New York Times si è mosso per capirlo e ne ha dedotto che il punto vendita in se non ha nulla di particolare. 

Di particolare c’è l’Oregon: una regione con una bassissima densità abitativa e per questo in molte case non arrivano i cavi per internet ad alta velocità. 

Non potendo guardare film in streaming molti abitanti se la sbrigano alla vecchia maniera.

A questo primo fattore si aggiunge il secondo, altrettanto importante, dell’unicità.

Essere l’ultimo Blockbuster al mondo, ha un evidente fascino che spinge i consumatori a visitarlo.

Perché ti ho raccontato questa storia?

Perché è importante che tu capisca quanto è cambiato il mondo,  e quanto di conseguenza deve cambiare, plasmandosi, il modo di fare impresa.

Netflix, ti ho detto prima, risolve lo stesso problema che risolve(va) BlockBuster, ma in modo diverso, semplificando i processi.

Anziché uscire di casa, magari al freddo, recarsi in un Blockbuster  e scegliere un film, resta sotto il piumone e fai qualche clic.

Eccolo il posizionamento differenziante di Netflix.

Ribadiamo il concetto fondamentale: devi creare una variante di un prodotto o servizio, che esiste già sul mercato, più adatta per una nicchia specifica. 

Laddove Netflix non c’è, per motivi particolari come in Oregon, la variante ridiventa Blockbuster, e il business essendo geolocalizzato torna sostenibile. 

Oggi anche il punto vendita in Oregon è chiuso e quindi il Brand Blockbuster non esiste più.

Ma c’è una curiosità che non posso non raccontarti.

Nel 2000 il capo di Blockbuster si chiamava John Antioco. 

Un ventenne di Boston di nome Reed Hastings gli propose di acquistare, per 50 milioni di dollari, la startup che aveva fondato tre anni prima che faceva vedere i film in streaming.

Antioco non accettò.

Quella startup si chiamava Netflix, e oggi capitalizza circa 200 miliardi di dollari.

Come nascono le aziende in Italia?

Quasi tutte le aziende nascono allo stesso modo. Nascono nel modo che poi le porta a fallire.

Nascono perché, un bel giorno, un dipendente si stanca di essere dipendente di un capo che secondo lui non capisce niente e lo paga da schifo, ed apre la partita iva.

Poi affitta un ufficio di fronte al suo ex capo e vende le stesse identiche cose che vende il suo ex capo, ma ci aggiunge più servizi, più gentilezza, più qualità, più assistenza e, ciliegina sulla torta, costa un po’ meno. 

Sai cos’è un Elevator Pitch?

L’Elevator Pitch è un discorso brevissimo che un imprenditore farebbe ad un investitore se si trovasse per caso con lui in ascensore.

Avendo a disposizione solo qualche minuto, l’imprenditore sarebbe costretto a descrivere propria attività in modo super sintetico ma altrettanto efficace, per convincere l’investitore a dargli dei soldi.

Immaginiamo l’Elevetor Picth di chi ha appena aperto la sua azienda  identica a quella del suo ex capo, il quale essendo arrivato prima di lui, è anche più noto.

Sarebbe questo: 

Imprenditore: posso rubarle un minuto?

Investitore: Mi dica.

Imprenditore: Ha presente coso (brand dell’ex Capo)? 

Investitore: Sì.

Imprenditore: Ecco. Io faccio la stessa cosa che fa coso, ma in più ci metto questo, questo e quest’altro e costo il 20% di meno.

Investitore: Arrivederla, grazie.

Se devo comprare la copia, compro l’originale.

Questo modello di business, nel medio lungo periodo produce due soli effetti.

Il primo è che vieni percepito come una commodity. Se fai quello che fa anche lui, non hai nulla di unico.

Il secondo è che una volta diventato una commodity, l’unico fattore differenziante è: il prezzo.

Ti ritrovi nella “battaglia del prezzo” e sei già con un piede nella fossa, perché fino a che puoi un po’ lo tiri giù, ma se arriva “il cinese” ti apre a pochi metri e sei finito.

Per sempre.

Questo modo completamente sbagliato di fare impresa deriva dalla mancata comprensione dell’importanza del Marketing e in particolare del Brand Positioning.

LE TRE ERE DEL MARKETING

Nella mia esperienza ho imparato che possiamo parlare di 3 ere del Marketing. Il passaggio da un’era all’altra non è stato compreso e questo comporta il fallimento del 97% delle startup.

La prima era del Marketing: prodotto-centrica.

La prima era del Marketing era quella in cui il Marketing non serviva.

Nel dopoguerra, in Italia, non c’era nulla. 
 
Bastava aprire una bottega nel proprio paese e produrre Scarpe, Tavoli, Sedie o Vestiti per vivere serenamente come imprenditore.

Non c’era nulla, quindi, se qualcuno voleva un tavolo o un paio di scarpe aveva una unica scelta.

L’alternativa era prendere la macchina, per chi ce l’aveva, metterci la benzina, per chi poteva permettersela, e recarsi dal competitor più vicino. 

In questa era prodotto-centrica il Marketing era sull’ultimo gradino del podio, relegato al ruolo di comunicazione. 

Il suo unico scopo era quello di dire: abbiamo prodotto questo.

È evidente che questa epoca non poteva durare.

Sono nati i competitor anche nella stessa zona, e a portata di clic ci sono tutti i competitor del mondo. 

Dire abbiamo prodotto questo non basta più.

Questa era, infatti, è finita e si è passati alla seconda era, quella in cui sul gradino più alto del podio c’è la finanza.

Le grandi aziende acquisiscono altre aziende e attraverso la finanza operano in altri mercati. 

L’avrai vista anche tu questa foto, dai.

8, 10 corporation possiedono tutto e, anche in questa seconda era, il Marketing è relegato al ruolo di comunicazione ed occupa il terzo gradino del podio.

Il suo compito è semplicemente quello di comunicare: da oggi produciamo anche questo.

Ti mostro un esempio pratico che ti spiega il perché questa epoca è finita o comunque sta finendo.

Questo è il famosissimo Pandoro Melegatti. 

Pensa che mi sarebbe bastato dire “Questo è il famosissimo Pandoro”, senza specificare Melegatti, lo avresti aggiunto tu, nella tua testa.

Oppure avrei potuto scrivere solo “MELEGATTI” e avresti immediatamente pensato al Pandoro.

Perché?

Il perché è scritto sulla scatola. Leggiamo insieme: 

1894 – Abbiamo inventato la ricetta, la forma, il nome del Pandoro.

Questo è il Brand Positioning. 

Abbiamo creato, dal nulla, una categoria che prima non esisteva, di conseguenza siamo leader indiscussi di quella categoria sin dal 1894, e quando qualcuno pensa a Pandoro pensa a Melegatti, e viceversa.

C’è tutto il succo, ed il successo del positioning in questo semplice concetto.

Purtroppo, però, come ti dicevo, siamo nell’era della finanza, e questa fa danni irreparabili.

La finanza entra nei Consigli di Amministrazione e dice poche parole: vogliamo più vendite, domani.

Il Pandoro si vende solo durante le festività Natalizie. 

Come può Melegatti vendere  il Pandoro in estate? 

Non può, ma la finanza spinge perché c’è la trimestrale degli azionisti da soddisfare.

Il modo più veloce per avere più vendite nel breve periodo è quello della cosiddetta estensione di linea.

Produce alcune vendite nell’immediato, per via del lancio di un nuovo prodotto, ma comporta danni enormi nel lungo periodo.

La finanza tutto questo non lo sa, il Marketing come detto è relegato al ruolo di comunicazione, quindi le aziende ci cascano. 

E infatti Melegatti cosa fece?

Questo.

Il ragionamento alla base di queste azioni sembra avere la sua logica: siamo la Melegatti, produciamo dolci e la gente li apprezza perché sono buoni. 

Se facciamo i Cornetti li apprezzeranno come il Pandoro.

E i cornetti si vendono ogni giorno!

In fondo sempre dolci sono.

Geniale, no?

Ecco: non funziona così.

C’è un errore di fondo in questa frase che fa cadere tutto il ragionamento: siamo la Melegatti, produciamo dolci e la gente li apprezza.

Non è vero. 

Melegatti nella testa delle persone non è l’azienda che fa dolci.

Melegatti è l’azienda che fa IL PANDORO.

Se estendi la tua linea sui Cornetti o su qualunque altro prodotto, la gente non solo non ti segue sulla tua nuova linea, ma disperdi anche il posizionamento che in 100 anni hai costruito sul Pandoro.

Se proprio vuoi metterti a fare i Cornetti devi farli con un altro Brand e lanciarlo con fatica, sforzi, soldi e tempo.

L’estensione di linea di Melegatti ha avuto conseguenze? 

Sì, il fallimento.

Ora capiamoci. 

Probabilmente, anzi sicuramente, Melegatti aveva altri problemi, ma l’estensione di linea ha contribuito e secondo me le ha dato il colpo di grazia.

D’altronde pensaci: avere altri prodotti, significa necessità di altri macchinari, di altri magazzini, di altri dipendenti, altro Marketing.

Questo probabilmente li ha mandati “fuori di cassa”, le banche hanno chiesto a Melegatti di rientrare dei fidi, hanno chiuso i rubinetti e chi s’è visto s’è visto. 

Un altro grande problema dell’estensione di linea praticata dalle big company è che l’imprenditore medio vedendole pensa: se lo fanno loro, si fa così.

Quando una società centenaria come Melegatti fa un errore del genere, in un modo o nell’altro “risorge”.

Attenzione a questo passaggio. 

È molto importante tu capisca quello che sto dicendo.

Sto dicendo che un Brand centenario, cioè un Brand che da un secolo è posizionato nella testa dei consumatori, riesce forse a salvarsi (il forse è grande come una casa) nonostante tutti i gravissimi errori del management.

Ma restano errori.

Se un errore del genere lo fa una PMI italiana, chiude per l’eternità.

LE ORIGINI DEL BRAND POSITIONING

Brand Positioning, è un termine composto da due parole. Fin qui ci siamo, vero? 

La parola Brand non ci crederai ma nasce da qui.

Proprio così, la parola Brand nasce dalle mucche.

Lascia che ti spieghi.

Immagina questa scena.

Siamo in Colorado, e io ho il mio bel ranch. Apro i cancelli e faccio uscire le mie mucche al pascolo.

Che problema c’è?

Nessuno.

Tu sei il mio vicino, e fai la stessa cosa liberando le tue mucche.

Adesso il problema invece c’è.

Quali sono le mie? E le tue? Come facciamo a distinguerle?

Esatto! Con il marchio.

Brandizzare, quindi, serve a rendere riconoscibile, a rendere distinguibile.

Una volta si faceva con il ferro rovente, ora per fortuna lo fanno con il laser o con una semplice targhetta attaccata all’orecchio della Mucca.

Il risultato non cambia.

Questo è quindi il significato originario di Brand: Marchio di riconoscibilità.

E Positioning?

Il concetto di Positioning nasce probabilmente già negli anni 20, ma è tornato in auge negli anni 70, quando Al Ries e Jack Trout pubblicano su Advertising Age, una delle riviste più importanti del mondo, una serie di articoli sull’era del “Positioning”.

Il positioning esplode definitivamente quando i due studiosi pubblicano il libro: Positioning: The Battle for Your Mind“.

Un libro stupendo che ti consiglio assolutamente di acquistare e leggere.

Lo trovi qui, in inglese.

E qui, in italiano.

Devi assolutamente leggerlo, che tu sia uno studente o un imprenditore, non ha importanza.

In modo molto sintetico: il Brand Positioning è il posizionamento di un Brand nella mente dei consumatori, ed ha lo scopo di rendere distinguibile il tuo Brand rispetto agli altri.

Il concetto è che bisogna distinguersi per non estinguersi

Proprio perché i messaggi sono tutti uguali, un messaggio deve spiccare per essere letto.

Allo stesso modo i Brand devono “farsi” notare.

Che dici, in mezzo ad una mandria di mucche tutte marroni, noteresti una mucca viola? 

La mucca viola è un altro libro che ti consiglio assolutamente di leggere.

Scritto dall’ottimo Set Godin, il titolo completo è “La mucca viola. Farsi notare in un mondo tutto marrone” ed è sufficiente per capire di cosa tratta.

COSA NON È IL BRAND POSITIONING.

E ora cominciamo a vedere che cosa non è il Brand positioning

Tutto quello che riguarda la qualità, la gentilezza, la cortesia, l’assistenza non è un fattore differenziante.

Questi fattori non sono differenzianti per il semplice fatto che qualsiasi consumatore dà assolutamente per scontato che tu sia gentile, cortese e che il tuo prodotto sia di qualità, altrimenti non compra. 

Allo stesso modo, nessun venditore ti dirà mai Guarda, il mio prodotto non è il massimo, la qualità lascia un po’ a desiderare. La nostra assistenza fa veramente pena, però fidati di me, compralo

Se si spinge su queste leve si finisce nella battaglia del prezzo.

Te ne ho già parlato, ricordi?

Quando l’unico vero fattore differenziante diventa il prezzo, per quanto tu sia bravo a vendere, il cliente ti chiederà solo una cosa: 

“Sì, ok ma quanto costa?”. 

Nel momento in cui entri nella battaglia del prezzo hai già perso, perché ci sarà sempre qualcuno in grado di produrre il tuo stesso prodotto, magari in zone dove il lavoro costa molto meno, abbassare il prezzo più del tuo e farti chiudere completamente l’azienda.

Il prezzo, in generale, non è una strategia di positioning.

Attenzione: può essere una leva di Marketing in una specifica offerta, se poi dietro quella offerta – che tecnicamente si chiama Front End – c’è un lavoro di Up selling e Cross selling che permette al business di prosperare.

Ti faccio un esempio, così ci capiamo.

Premessa:

Un’azione di Marketing sul prezzo deve comporsi di 3 step:
 
  • una sul prodotto (o servizio) da pubblicizzare
  • una sul prodotto da vendere
  • una sul prodotto su cui marginare di brutto

 

Pensa a quante volte hai scaricato un coupon per avere un hamburger gratis.

Ecco, quella è l’offerta di front end. 

Chi la lancia sa benissimo che sono davvero pochi quelli che entrano, prendono l’hamburger, consegnano il coupon e vanno via.

La stragrande maggioranza entra e prende l’hamburger che paga con il coupon, ma poi – già che c’è – ordina le bevande e probabilmente anche altro cibo.

E visto che ormai ci si trova prende anche quel giochino alla cassa per la bambina e un lecca lecca che non guasta mai.

Il segreto è in quel “già che c’è” e “ormai ci si trova”.

Perché vedi, se nel tuo negozio non c’è nessuno è difficile vendere qualcosa a qualcuno.

Il punto è convincere le persone ad alzare il sedere dal divano, uscire ed entrare nel tuo negozio/store per comprare qualcosa magari a prezzo stracciato, e già che c’è prende anche altro.

Il prezzo in questo senso è una leva straordinaria, a condizione, però, che tu abbia una conoscenza approfondita dei tuoi numeri e sappia gestire la cassa.

I CLIENTI SI COMPRANO.

C’è un concetto che fa fatica a passare ed è quello, detto in maniera brutale, che i clienti (nuovi) si comprano

Esatto: si comprano.

Hai mai sentito dire quella frase “Chi può spendere di più per acquisire un nuovo cliente, vince”.

C’è un grande fondo di verità, ma puoi imparare a difenderti se capisci che il Marketing è fatto di numeri.

Bisogna conoscere alla perfezione i numeri della propria azienda, sapere dove finisce ogni singolo euro quando esce dal conto corrente ed avere un’idea estremamente precisa di quando quel singolo euro tornerà nel conto aziendale, moltiplicato.

Se so che un cliente sta con me mediamente 5 anni e che in quei cinque anni mi rende 25.000 euro, il famoso Lifetime Value, so anche che posso decidere di “rimetterci” 2/3000 euro per acquisirlo con un front end.

Un front end, sostanzialmente, è “un’offerta specialissima”.

Un prodotto dall’alto valore ma dal prezzo molto molto basso, che induce il potenziale cliente a diventare cliente.

Un cliente è davvero cliente solo quando spende il primo euro.

Una volta rotta la diffidenza iniziale, chi ha acquistato da noi si ritrova tra le mani, come detto sopra, un prodotto dall’altissimo valore.

Questo crea quella la vera base per un rapporto duraturo: la FIDUCIA.

Ottenuta la fiducia del cliente, gli si vende, nel tempo, ciò che effettivamente gli occorre, attraverso le strategie di upsell, crossell e fidelizzazione.

Il prezzo, quindi, è un’ottima leva per acquisire clienti, a condizione che tu sappia cosa stai facendo.

Se il prezzo è la tua unica leva, mi spiace dirtelo ma chiuderai, perché non hai costruito un Brand.

Chiusa parentesi, torniamo al Brand Positioning. 

COS’È IL BRAND POSITIONING

Il Brand Positioning, innanzitutto, non è ciò che tu fai al tuo Brand ma è ciò che il tuo Brand fa nella mente dei tuoi potenziali clienti. 

Il Brand positioning è la posizione che un Brand occupa nella mente dei consumatori sulla base della differenziazione rispetto ai competitor.

Il Brand Positioning è quel meccanismo psicologico che permette, alla comparsa di un determinato bisogno nella mente del potenziale cliente, di generare un richiamo immediato ad un determinato Brand.

Vediamo qualche esempio.

La mattina esci di casa per andare in ufficio, arrivi alla tua auto  malauguratamente trovi il parabrezza rotto. 

Ora, al di là delle imprecazioni per il ritardo, per la spesa che dovrai sostenere e quant’altro: quanto tempo passa tra l’istante in cui vedi il parabrezza rotto e quello in cui pensi a Carglass?

Molto poco, vero?

Riprendiamo la definizione di Brand Positioning.

Il Brand Positioning è quel meccanismo psicologico che permette, alla comparsa di un determinato bisogno nella mente del potenziale cliente, di generare un richiamo immediato ad un determinato Brand.

Evidenziamo alcuni passaggi e aggiungiamo due cosine.

Il Brand Positioning è quel meccanismo psicologico che permette, alla comparsa di un determinato bisogno (riparare il parabrezza) nella mente del potenziale cliente, di generare un richiamo immediato ad un determinato Brand (carglass)

Ho un problema = Penso alla soluzione prima nella mente.

Attenzione adesso, questo è importantissimo.

Perché pensi a Carglass e non al tuo meccanico di fiducia?

Riflettici un attimo.

Hai un problema alla tua auto, ma non la porti dal tuo meccanico di fiducia. La porti da Carglass, pur non avendo la più pallida idea di chi ci metterà le mani.

Il tutto pur sapendo che il tuo meccanico di fiducia, che ti ha sempre trattato bene e con cui hai un bel rapporto da anni, sarebbe perfettamente in grado di riparare il parabrezza.

Perché la porti da Carglass?

Se ti poni onestamente questa domanda, la prima risposta che ottieni è “Perché fanno prima”. 

Giusto. 

Infatti, mediamente, da Carglass porti l’auto te ne danno una sostitutiva per un paio d’ore, torni dopo aver fatto la spesa o essere stato al lavoro o dal barbiere e l’auto è pronta.

Se l’avessi portata dal tuo meccanico lui avrebbe dovuto metterti in fila, ordinare il parabrezza e, una volta ricevuto, montarlo.

Sarebbero passati giorni.

Quindi la risposta alla domanda “Perché pensi a Carglass e non al tuo meccanico” è Perché da Carglass fanno prima”.

Ma la vera domanda è: perché fanno prima?

E qui c’è il posizionamento di Carglass.

Fanno prima perché fanno solo quello.

E automaticamente scatta l’associazione mentale: se fanno solo quello, sono più bravi.

Si tratta della famosa legge della focalizzazione.

 

Il concetto più potente nel Marketing è possedere una parola nella mente del cliente potenziale.

Al Ries & Jack Trout
La legge della focalizzazione è potentissima.
 
Carglass ha conquistato il concetto di “riparare parabrezza”.
 
Quando sei uno specialista in qualcosa, vinci sempre sul generalista.
 
Vinci perché il generalista non conquista nessuno spazio nella mente dei clienti, proprio perché fa un po’ di tutto.
 
Il tuo meccanico di fiducia si occupa di motore, ma all’occorrenza sistema la carrozzeria, risolve problemi elettrici dell’autovettura e si occupa anche di parabrezza.
 
Carglass si occupa solo di parabrezza, per questo non c’è gara nella mente.
 
Se la tua auto ha un problema e tu non sai di che si tratta, allora sì che la porti dal meccanico.
 
Se non ti senti tanto bene, vai dal medico per capire che cos’hai, e dopo che il medico ti dà la diagnosi, vai dallo specialista.
 
Ma se avverti una continua tachicardia, vai direttamente dallo specialista (il cardiologo, nel caso specifico).
 
Allo stesso modo, se il parabrezza è rotto, tu la diagnosi già ce l’hai, per questo pensi direttamente allo specialista.
 
Questo è Brand Positioning:
 

Problema: rotto il parabrezza

Soluzione: Carglass

NELLA MENTE DEL CONSUMATORE

Ora entriamo davvero nel fulcro del Brand Positioning, cioè nella mente del consumatore.

Nella mente del consumatore c’è spazio per pochissime aziende per ogni categoria merceologica.

E anche quelle pochissime già posizionate, devono ribadire continuamente il proprio posizionamento.

La testa delle persone funziona come un archivio a cassetti. 

C’è il cassetto automobili: se apri il cassetto automobili, ci sono dentro degli schedari che suddividono le auto in segmenti: berlina, coupé, famigliare etc…

Dentro gli schedari ci sono i Brand delle automobili.

Se apri un qualunque schedario mentale delle auto, dentro ci trovi il Brand Leader ed il suo principale competitor.

Stop.

Nel campo nei prodotti cosiddetti tangibili, cioè quelli che io posso toccare con mano, in ogni schedario c’è spazio per il leader e il co-leader

Sotto questi due gradini scatta l’indifferenziazione.

Si chiama Legge della dualità.

A lungo andare ogni mercato diventa una corsa a due cavalli.​

Al Ries & Jack Trout

Come avrai capito, amo fare esempi pratici. Vediamone qualcuno.

Se io ti dico: PILE.

Le pile, esatto, le pile che fanno funzionare il telecomando, per capirci.

La prima che ti viene in mente è sicuramente Duracell, no?

E se ti chiedessi un altro Brand di Pile? 

Immagino mi diresti Energizer, vero?

Come vedi abbiamo appena nominato il leader ed il Co-leader.

Se ti chiedessi un terzo Brand faresti molta fatica a trovarne uno, ma non perché non c’è.  

Pensa che anche Amazon brandizza delle Pile. Amazon è un Brand noto? Direi di sì. 

Ma quanti sanno che esistono le Pile Amazon?

E soprattutto, quanti comprano le Pile Amazon?

Siamo sempre lì. Amazon è l’e-commerce per eccellenza. 

Ma se mi servono delle Pile, io vado su Amazon e compro le Duracell.

È buffo, no? No, è Brand Positioning. 

Un altro classico esempio di duopolio è quello esistente nel mondo delle Cola.

Coca e Pepsi si prendono praticamente tutto il mercato.

Non esistono altre bevande al gusto cola?

Altro che, se esistono! Se vai nei discount c’è tutta la Cola che vuoi.

Nei discount, appunto.

Ma nella testa del consumatore esistono solo Coca e Pepsi e non c’è modo di infilarci un terzo brand.

Conoscevi l’esistenza di Ubuntu Cola? 

E Mole Cola?

La MoleCola è una bevanda analcolica alla Cola, tutta made in Italy, a km zero. 

Il nome è un gioco di parole che unisce il richiamo al monumento simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, e il nome della bibita “cola”. 

Le due parole unite, inoltre, ne creano una terza, molecola. Il logo riprende la silhouette della Mole Antonelliana.

Uh che bello, che emozione! La conoscevi? No, eh? La berrai. No.

L’idea è anche carina, made in Italy, la Mole Antonelliana, il Visual Hammer… ma non c’è spazio per il terzo Brand, e non è una questione di soldi.

Te lo dimostro.

Questo signore è Richard Branson.

Branson è un famosissimo imprenditore britannico fondatore di Virgin Records.

Con lo stesso marchio, ha fondato una compagnia aerea, un’assicurazione pensionistica, diversi autonoleggi e addirittura una compagnia finalizzata alla realizzazione di voli spaziali per il mercato commerciale.

E non solo.

Il suo patrimonio personale ammonta a circa 5 miliardi di dollari.

La storia imprenditoriale di Branson è costellata di tonfi e trionfi.

Nel caso specifico voglio parlarti di un Trionfo e di un Tonfo.

Nel suo libro dal titolo “Il coraggio di rischiare“, Branson racconta un episodio simpatico.

Dice “Avevamo in programma di raggiungere Portorico, ma il nostro volo fu cancellato”.

E continua: “con perfetto aplomb noleggiai un aereo per 2.000 dollari. Mi feci prestare una lavagna e ci scrissi “Virgin Airwais, $ 39, volo di sola andata per Portorico”. 

Poi vendette tutti i biglietti a quelli che come lui avevano perso il volo.

Branson racconta che l’idea di fondare una compagnia aerea gli venne da quell’occasione.

Così costruì la Virgin Airlines.

Allo stesso modo, un bel giorno deve aver pensato: ho fondato una compagnia aerea, vuoi che non sia in grado di creare una bevanda gassata?

E così nacque la Virgin Cola.

Con un lancio pazzesco.

Il 12 maggio del 1998, Richard Branson prese a noleggio un carrarmato e dopo averlo brandizzato Virgin Cola lo guidò fino a Times Square dove un muro di lattine Virgin lo attendeva.

Come testimonial scelse nientepopodimenoche Pamela Anderson, famosissima bomba sexy, all’epoca bagnina di Baywatch, e la bottiglia della Virgin richiamava le forme della seducente bionda.

La Virgin Cola raggiunse l’apice del suo splendore toccando lo 0,5% di quote di mercato. 

ZERO, VIRGOLA, CINQUE, PERCENTO.

Nel 2012 è fallita.

Forse la trovi ancora nei peggiori bar di Caracas.

Se invece ti accontenti della bottiglia “The Pammy”, in onore di Pamela, quella la trovi su Ebay.

L’insegnamento più grande che ho tratto dal fallimento è stato che non bisogna mai sottovalutare il potere dei leader di mercato. Non ripeterò mai più l’errore di credere che le grandi compagnie siano dormienti.

Richard Branson

LA LEGGE DELLA DUALITÀ spiegata semplice

È un classico: ogni volta che in qualche evento parlo di Leader e Co Leader, la gente capisce il senso di quello che dico perché lo vede nella vita reale, ma non ne capisce la ragione.

Lascia che ti spieghi.

Quando dico che nel mercato dei prodotti tangibili la gara nel lungo periodo è sempre a due, la gente dice “Accidenti è proprio così”, ma non capisce il perché è così.

Il perché in realtà è più semplice di quanto si pensi.

È il mercato stesso che chiede e permette l’esistenza di un forte Brand n. 2. ed è una ragione prevalentemente finanziaria.

Seguimi bene.

Ti sei mai chiesto il perché alcuni supermercati o i Burger King vendono la Pepsi e non la Coca Cola? O perché alcuni abbiano solo la Red Bull mentre altri solo la Monster? 

Il motivo è che l’esistenza di un secondo Brand forte, dà al distributore la leva negoziale nei confronti del Leader.

Se nei Burger King torvi la Pepsi è solo per motivi economici. 

In realtà tutti vorrebbero il Leader, ma spesso si “accontentano” del Brand n° 2, per motivi economici.

Burger King avrà chiesto alla Coca Cola uno sconto per la fornitura in tutti i suoi punti vendita, sconto che la Coca Cola in quanto Leader gli avrà negato. 

A quel punto Burger avrà risposto “E allora prendiamo la Pepsi, che è comunque un ottimo Brand ed accetta le nostre condizioni”.

Questo è il succo del discorso, questo è il motivo per il quale esistono sempre un Leader ed un forte Co Leader.

Ed è anche il motivo per cui il 3° brand o non esiste o è del tutto irrilevante.

Ce lo vedi un Burger King che dice alla Coca Cola: “O accetti le nostre condizioni o io mi rivolgo alla Jimmy Cola?£

E sticazzi, risponderebbero da Atlanta. 

Se invece come leva usi il 2° Brand, un minimo di fastidio al leader glielo crei.

Qui poi scatta un altro meccanismo: è vero che il Co Leader conquista un po’ di quote di mercato, ma lo fa usando come leva il prezzo e così facendo non fa altro che rafforzare la Leadership del  numero 1°.

Insomma, il 2° Brand esiste perché il mercato offre la possibilità di dire: o accetti le mie condizioni o mi rivolgo al tuo competitor.

Ogni volta che c’è un intermediario, c’è bisogno di un forte Co Leader per avere leva sul Leader. 

Pensa che a volte è obbligatorio bandire una gara con più brand partecipanti, ma la verità è che tutti vorrebbero comprare dal Leader e la gara è solo un tentativo di fargli abbassare un po’ il prezzo. 

COME FARE BRAND POSITIONING

Ora vediamo di capire come fare positioning.

Abbiamo visto che nel campo dei prodotti tangibili, vige la legge della dualità, per cui nel lungo periodo sarà sempre una gara a due.

Gli esempi sono infiniti e non dipendono dal settore.

• Duracell e Energizer
• Coca Cola e Pepsi;
• Hertz e Avis;
• McDonald’s e Burger King;
• Nike e Reebok;
• Gatorade e Powerade;
• Goodyear e Michelin;
• Ferrari e Lamborghini;
• Colgate e Acquafresh;

etc, etc..

Ma posso io farmi largo e posizionarmi come Co-Leader?

Assodato che non posso scalzare il leader, posso prendermi uno spazio nello schedario della mente?

Innanzitutto è bene precisare che la posizione di Co-Leader in un mercato è una posizione ottima. 

Il Brand n° 2 nella mente dei clienti, in una determinata categoria merceologia, è tendenzialmente un’azienda florida, e ti basta guardare gli esempi citati per capirlo.

La risposta comunque è sì, con la corretta strategia è sempre possibile farsi strada.

Scalzare il leader, soprattutto se si tratta di Leader centenari, è pressoché impossibile e, ripeto, non è questione di soldi.

If you gave me $100 billion and said take away the soft drink leadership of Coca-Cola in the world, I’d give it back to you and say it can’t be done.

Warren Buffet

Questa è una citazione di Warren Buffet, che più o meno dice: “Se mi date 100 miliardi e mi chiedete di sradicare la leadership della Coca Cola dalla testa delle persone io vi ridò i 100 miliardi e vi dico fatevelo Voi perché non è possibile”.

Tuttavia, se è vero che scalzare il Leader non è possibile, attaccarlo per farsi spazio è assolutamente possibile e se ben fatto porta grandi risultati.

Ritengo superfluo precisare che attaccare un leader richiede, analisi, studio, strategia, azione e quindi tempo e soldi.

Tanti.

La strategia migliore per attaccare un Leader è quella dettata dalla Legge dell’Opposto, cioè opporsi al leader.

Ne ho già parlato superficialmente nel mio primo articolo, quando ho fatto l’esempio del posizionamento in politica.

Ora vediamo un esempio restando nel mondo delle Cola.

Ti starai chiedendo: Alessandro, ma come si fa a posizionarsi dicendo il contrario della Cola? Mi prendi in giro?

Guarda un po’ qui.

Che c’è scritto in questo messaggio?

7UP, si è posizionata nel mercato delle Cola come “The Uncola“, che si traduce in “la non cola”.

La prima e sola.

Ha sfruttato gli attributi già presenti nella mente del consumatore (bevanda al gusto Cola), per piazzarsi in totale opposizione.

All’inizio di questo articolo  ti ho spiegato come nascono (sbagliando clamorosamente) le aziende in Italia: io sono come lui, ma in più faccio questo, questo e quest’altro e costo meno.

7Up, invece, ha comunicato “Io non sono come lui, anzi sono il suo opposto!”, rivolgendo il suo messaggio a tutta la nicchia enorme di quelli che non amano la Cola (che sia Coca o Pepsi poco importa).  

Cercare di essere migliori della Cola non ha senso. Occorre essere diversi, meglio ancora se opposti.

Se vi battete per il secondo posto la vostra strategia è dettata dal leader.

Al Ries & Jack Trout

LEZIONE AVANZATA DI POSITIONING

Restando nel campo delle Cola, non posso non citare un’altra straordinaria azione di Marketing.

Un’azione di Marketing che ci insegna moltissimo.

A lanciarla fu la Pepsi.

Una campagna straordinaria con cui la Pepsi ha “squalificato” la Coca Cola agli occhi dei giovani.  

Come ha fatto? 

Ha lanciato una campagna – martellante – il cui messaggio era : “tu non vuoi bene la stessa cosa che bevono i tuoi genitori ed i tuoi nonni. Tu sei la Pepsi Generation”. 

Ha preso dei testimonial molto importanti e impattanti sul target dei giovani, come Michael Jackson, Tina Turner e tanti altri ed è riuscita ad aggredire la nicchia dei ragazzi che bevevano la Coca Cola, ma non solo.

Anche quelli un po’ più anziani che volevano sentirsi giovani hanno cominciato a bere la Pepsi. 

Questo è il modo corretto di aggredire un leader.

Intercettare una nicchia specifica all’interno del target di riferimento.

OK. MA BASTA CON LA COCA COLA.

Benissimo. 

Presta la massima attenzione a quest’altro esempio. 

Solo leggendo questa lezione, conoscerai più positioning di 3/4 dei consulenti di marketing italiani e non.

Con la giusta strategia di marketing, qualunque concorrente – ripeto – qualunque concorrente – può essere attaccato. 

Anche Gucci può essere “preso a schiaffi” da un competitor, se quel competitor sa quello che sta facendo.

Attenzione: non sto dicendo che Gucci smetterà di esistere, come Coca Cola non ha smesso di esistere dopo gli schiaffoni presi dalla Pepsi. 

Sto dicendo che è possibile attaccare frontalmente qualunque Brand, anche mitologico – con la giusta strategia e rubargli una fetta di mercato. 

Nell’era del posizionamento, lo scopo ultimo di una corretta strategia  è quello di conquistare una posizione imperitura nella mente del consumatore. Un qualcosa che rende inconfondibili rispetto ai competitor che devono arrivare a essere visti come la nostra copia sbiadita.

Affinché ciò avvenga è necessario prendere in analisi i punti di forza dei competitor ed i nostri punti deboli.

Fatta l’analisi, l’obiettivo non è attaccare i punti di deboli dei competitor, ma riposizionare i suoi punti di forza come punti deboli. al fine di attrarre la nicchia specifica.

Gucci non è solo un famoso Brand di moda. 

Gucci è LA MODA. Il RE indiscusso del fashion.

Gucci è il brand italiano del lusso più famoso del mondo.

Posso attaccare Gucci dicendo che i suoi capi costano troppo?

No. Il prezzo elevato non è un punto debole, anzi! Chi li acquista lo fa per Status.

Chi non può permettersi un capo Gucci, non può permettersi nemmeno un mio Capo. 

Se voglio prendermi una fetta del mercato di chi compra Gucci, infatti, la nicchia di persone che mi interessa è altospendente.

Devo riposizionare Gucci nella testa di una nicchia di persone ben specifica.

Gucci è un Brand di lusso nella moda. Questo sì che è un suo punto di forza.

Devo agire su questa percezione riposizionando Gucci come la scelta pacchiana, quella che farebbe “chiunque abbia due soldi. 

Insomma Gucci è l’abito “dell’arricchito” che si vuole fare vedere.

La persona veramente ricca, ma di classe, compra Brioni.

Questo è il posizionamento. 

Ho intercettato una nicchia specifica all’interno del target di riferimento.

In pratica il ragionamento è questo: all’interno della nicchia di persone ricche c’è sicuramente una nicchia di persone straricche, che può permettersi di spendere anche di più. 

È su quelle che devo scoccare la mia freccia, dicendogli sottilmente: ma scusa, con tutti i soldi che hai, ti vesti come uno che ne ha molti meno di te? (Barbone! Sottinteso)

Leggi l’intervista a Norbert Stumpfl, Brioni Executive Design Director.

Gente che di positioning ne sa, e non a caso Brioni veste i più importanti uomini del mondo.

Brioni è un mondo a parte” spiega. “Un universo di materiali leggeri, di modelli su misura che seguono le linee del corpo senza mai ostacolare la fluidità del movimento”. 

Nessun logo visibile, gli abiti parlano per se stessi.

Lo stile Brioni è discreto, ma al contempo vigoroso. “Solo guardando i capi da vicino si apprezzano dettagli che a prima vista possono passare inosservati”, aggiunge Stumpfl. “Ad esempio, dopo qualche mese dall’acquisto si può scoprire che una tasca è estremamente morbida perché è foderata in pelle”.

Pensa alla meraviglia di questo passaggio: “Nessun logo visibile, gli abiti parlano per se stessi.

La senti la bomba? 

Sta parlando a persone che hanno soldi da spendere e gli sta dicendo: ma davvero compri quegli abiti con quei loghi sul petto, così pacchiani, così brutti

Se indossi Brioni, si vede e basta.

E continua.

L’uomo attuale di Brioni è incarnato da una persona reale… Brad Pitt, per la precisione, il nuovo ambasciatore del brand. 

“È un onore avere con noi Brad Pitt in questo ruolo”, sottolinea Stumpfl. È l’uomo ideale: gli altri uomini vogliono assomigliargli e le donne lo adorano”.

Vuoi essere bello, affascinante e ricco come Brad Pitt? 

Vesti Brioni.

Questo non è Storytelling, questa è magia.

Brad Pitt è Brad Pitt, ma ti assicuro che anch’io con l’abito Brioni facevo la mia figura.

Concludiamo questa breve lezione. 

Non ha senso attaccare i punti deboli di un competitor, perché i suoi clienti li conoscono già, ma lo comprano lo stesso quel prodotto.

Credi davvero che chi mangia la Nutella non sappia che dentro c’è una tonnellata di Olio di Palma?

Certo che lo sa. Non gliene frega nulla.

Con la corretta strategia di posizionamento, si può attaccare qualsiasi concorrente, anche se apparentemente invincibile.

ERRORI CLAMOROSI

Esempi di errori clamorosi da parte di Brand anche molto famosi ce ne sono a bizzeffe.

Abbiamo già visto con il caso Melegatti il disastro provocato dall’estensione di linea.

Ora parliamo di un altro errore pazzesco.

Quando la Pepsi sferrò l’attacco alla Coca Cola, quest’ultima decise di reagire. La reazione, però, fu abbastanza squinternata.

Si tratta di una vicenda molto famosa in ambiente Marketing, ma magari tu non la conosci. 

È degna di nota perché mostra – una volta di più – che non sempre quello che fanno i grandi Brand è corretto (quasi mai, in realtà).

Quindi se hai un’impresa, non ragionare con il “Se lo fanno loro che sono grandi, allora si fa così” perché nel 95% dei casi sbagli.

Sono davvero poche le aziende che sanno fare positioning, e dopo ne vedremo qualche esempio.

Dicevamo dello scontro Coca vs Pepsi.

La Pepsi con un angolo d’attacco ben studiato stava portando via il traffico dei giovani alla Coca Cola.

Ti dico subito cosa avrebbe dovuto fare la Coca Cola per rispondere all’attacco di Pepsi.

Niente.

La strategia del n° 2, è dettata dal leader, come abbiamo visto con lA legge dell’opposto.

Per quanto corretta sia stata la mossa di Pepsi, la Coca Cola avrebbe semplicemente dovuto ribadire che gli altri possono fare quello che vogliono, noi siamo la Coca Cola e potete solo copiarci.

Il Leader, quindi, deve solo trovare il modo e la forma di ribadire la propria leadership., proprio perché la Leadership è l’attributo più potente nella mente del consumatore.

Pensa un attimo a Barilla.

Barilla ha conquistato il mercato americano con un messaggio semplicissimo.

Siamo la Pasta n. 1 in Italia

Capisci la potenza di questo rigo?

L’Italia è il paese numero 1 della pasta. 

Noi siamo i numeri 1 nel paese  numero 1.

Tutti gli altri sono la nostra brutta copia.

Non c’è nient’altro da aggiungere.

Coca Cola cosa ha fatto invece?

Per rispondere all’attacco della Pepsi che gli stava portando via i giovani, ha commesso un errore folle.

Dopo 99 anni ha cambiato la ricetta della Coca Cola e per cercare di riprendersi i giovani nel 1985 ha lanciato la New Coke.

Risultato?

Fino al giorno precedente l’annuncio del giugno 1985 con cui la Coca Cola lancia la New Coke, la Coca Cola Company riceveva circa 400 telefonate al giorno al numero del filo diretto. Dal giorno dell’annuncio iniziò riceverne oltre 1500, tutte di lamentele. 

Questo perché le persone avevano nella testa la Coca Cola da un secolo, e tentare di sradicarla è stata una violenza.

I consumatori si sono ribellati, hanno detto “ridateci la Coca Cola.

Attenzione. 

La Coca Cola oggi è un Brand che ha 130 anni, quindi, può sbagliare tutte le volte che vuole e fortunatamente per quanto possano essere incapaci i loro Manager resteranno leader, ma se una PMI italiana fa un errore del genere, ha chiuso. 

La New Coke fu ritirata dal mercato dopo appena 79 giorni e si tornò alla Coca Cola Classica.

Il rilancio sul mercato della Coca Cola Classica ha permesso alla Coca Cola un sostanzioso aumento delle vendite e questo ha dato l’alibi al management per poter dire che il lancio della New Coke era stata tutta strategia.

Oggi tra gli uomini di Marketing ci sono due fazioni: chi crede a questa versione “ufficiale” e chi, come me, pensa che sia stato un clamoroso errore di Marketing.

Per me le lamentele del pubblico parlano in modo chiaro.

CREARE UNA NUOVA CATEGORIA

Un’altra famosissima legge di marketing è la legge della categoria.

Se non potete essere i primi di una categoria, inventatene una nuova in cui diventarlo.

Al Ries & Jack Trout

Come detto e ribadito, se in una categoria specifica ci sono già un Leader e un Co-Leader, non c’è modo di fare il terzo Brand, nemmeno con i miliardi di Richard Branson.

Che si fa allora?

Quello che si può, e si deve, fare è il creare una variante di un prodotto o servizio che esiste già sul mercato, ma che è più adatto per una nicchia specifica.

Così come Melegatti ha inventato il Pandoro creando di fatto quella categoria, tu stesso, con la corretta strategia puoi inventare un’altra categoria, e dominarla.

Chi crea una nuova categoria, per forza di cose ne diventa Leader.

Pensa ad iPhone. 

Quando è arrivato iPhone, sul mercato c’era BlackBerry.
C’era, ma non c’è più.

Perché?

  • Sicuramente perché iPhone ha rivoluzionato la telefonia introducendo una nuova categoria: gli “Smartphone”.
  • Certamente perché l’esplosione dei social network aveva “creato” un nuovo bisogno: lo schermo più grande.
  • Indubbiamente perché Apple aveva già lanciato iPod.

 

Ma anche – e soprattutto – per un problema di Brand Positioning e Focus (sul Focus ci torno, tranquillo)

BlackBerry avrebbe potuto conservare la propria nicchia di professionisti, grazie alla sua tastiera.

Diciamoci la verità: scrivere con i tasti è molto, molto più comodo.

BlackBerry avrebbe potuto (e dovuto) dire al mondo:

“L’iPhone? Roba per mocciosetti che stanno su Facebook. Noi siamo uomini d’affari, lavoriamo con BlackBerry”.

Avrebbe conservato la grossa nicchia di professionisti che scrivono decine e decine di email al giorno.

Invece cosa ha fatto?

Questo 👇🏻👇🏻👇🏻

Che cos’è questo se non la fotocopia di un iPhone con la scritta Blackberry?

Intendiamoci: come nel caso di Melegatti, BlackBerry sicuramente aveva altri problemi. Probabilmente sarebbe fallito lo stesso, perché con l’avvento di iPhone è nata una nuova era. 

Ma ciò non toglie che copiare pari pari il Leader per appiccicarci il proprio Brand è una strategia inutile. 

Creare una variante di un prodotto o servizio che esiste già sul mercato, ma che è più adatto per una nicchia specifica.

Questo va fatto. Non il clone di un prodotto con il nostro Brand.

E vediamo un esempio.

Target: persona che beve Soft Drink.

Abbiamo detto che è inutile cercare di lanciare un Brand su questo target, perché Coca e Pepsi si prendono tutto.

È possibile intercettare una nicchia specifica all’interno dei consumatori di Soft Drink?

Che succede se dico “Energy Drink”?

Melegatti ha creato la categoria Pandoro.

iPhone ha creato la categoria Smartphone.

Redbull ha creato la categoria Energy Drink.

Chi crea una nuova categoria, la domina.

Chi è il Brand numero 2 negli Energy Drink?

Forse non lo conosci nemmeno, ma è Monster

Monster è riuscita a farsi largo nel mercato degli Energy Drink grazie ad un brandname mostruoso, ad un potentissimo Visual Hammer e ad una strategia rischiosa, ma che a volte può funzionare.

La Redbull ha creato gli Energy Drink e la lattina da 142 mg. La Monster ha detto “Io te ne do 160″. La mia lattina e più grande. 

Ha usato questa strategia di posizionamento in maniera tale che chi voleva bere di più comprava la Monster.

E poi piano piano ha rimpicciolito la lattina con la strategia che che gli economisti chiamano Shrinkflation.

Oggi la differenza è quasi impercettibile.

Red Bull e Monster dominano un mercato in cui i competitor sono oltre 1000.

Pensa: sono oltre 1000 gli Energy Drink sul mercato, ma nella testa dei consumatori ne esistono solo 2.

Qualcuno ha provato a lanciare un Brand in questo mercato?

Ceeeerto che sì. Chi? Ma naturalmente la Coca Cola. 

L’ESTENSIONE DI LINEA DANNEGGIA IL BRAND

Diciamo che almeno hanno fatto una cosa buona: hanno pensato di attaccare il Co Leader perché tanto attaccare il leader è inutile.

Volevano assolutamente prendersi la posizione di Co Leader, quella di Monster e quindi hanno lanciato la NOS.

Ricordi? 

Devi creare una variante di un prodotto (o servizio che esiste già ma che è più adatta ad una nicchia specifica.

Che strategia di posizionamento ha usato la Coca Cola quando ha lanciato la NOS?

Nessuna.

Hanno pensato: è della Coca Cola, quindi la compreranno.

Eh no, mi spiace.

Allora hanno lanciato la fantastica Mother.

Te la ricordi? No? E infatti è fallita

E finalmente hanno lanciato la B-You.

Strategia di posizionamento?

Nessuna.

Fallita la B-You hanno lanciato la Gladiator,.

Per combattere questa battaglia chi meglio di un Gladiatore? 

E infatti è fallita. 

Allora hanno pensato che forse il Gladiatore è un po’ superato, mandiamoci un combattente più agile, più veloce. E hanno lanciato la Samurai

Com’è andata? La conosci? Appunto.

Poi hanno lanciato la Nalu, e poi hanno lanciato la BPM, e poi hanno lanciato la Power & Play, e poi hanno lanciato la Relentless.

Insomma hanno lanciato una valanga di Brand nel tentativo di prendersi la posizione di Co Leader ma non ce l’hanno fatta.

Fino a che, finalmente, hanno lanciato il Brand giusto.

Burn

Energy Drink con un Brandname davvero al Top e un Visual Hammer potentissimo. 

Ora, secondo te: quanti soldi ha speso la Coca Cola con tutti questi lanci di nuovi Brand?

E che risultati ha ottenuto?

Te lo dico io. Nulla. 

La Burn in Europa non ha mai superato il 2% di quote di mercato.

Ah, quasi dimenticavo.

La Burn nasce negli USA ovviamente, ma non nasce come Burn.

Nasce come Full Throttle.

Ora, fermiamoci un attimo.

Abbiamo visto come ha fatto la Monster a diventare Co Leader.

La Red Bull è stata quella che ha creato gli Energy Drink con una lattina da 142 mg.

La Monster ha detto “Io allo stesso prezzo te ne do 160, cioè la mia lattina e più grande”. 

I grandi geni della Coca Cola cosa hanno pensato? 

Allora noi te ne diamo ancora di più, perché noi siamo noi: la Red Bull dà 142, la Monster 160, noi 200! 

Ma sì, abbondiamo, direbbe Totò.

Ricapitoliamo.

Coca Cola pianifica il lancio di un Energy Drink perché vuole assolutamente entrare nel mercato nel mercato degli energy drink e prendersi la posizione di Co Leader. 

Lancia decine di Brand per cercare di scalzare la Monster, brucia una quantità impressionante di miliardi e non ottiene assolutamente nulla.

Alla fine fa l’unica cosa che avrebbe dovuto fare sin dall’inizio.

Si compra Monster.

Leggi bene l’articolo.

La Coca Cola ha dato 2,15 miliardi di dollari alla Monster per prendersi la Monster e gli ha detto: guarda ti do 2 miliardi e ti regalo anche tutti i brand che abbiamo lanciato finora, ti prego prenditeli.

Se avessero seguito le leggi del posizionamento, avrebebro fatto subito questa mossa, risparmiando tempo e soldi..

Purtroppo, però, il Marketing della Coca Cola non è fatto da esperti di Marketing ma da Manager che non hanno affatto capito la lezione e, anzi, hanno deciso di lanciare un altro Energy Drink.

Vogliamo più vendite, domani.

E arriva la Coca Cola Energy.

L’unico “vantaggio” che la Coca Cola ottiene da queste azioni è l’occupazione di più spazio fisico nella GDO, ma a mio avviso i numeri parlano chiaro: i danni sono maggiori.

Come ti dicevo, questi errori la Coca Cola può permetterseli, una piccola azienda italiana no.

Probabilmente ti starai chiedendo: ma possibile che in Coca Cola non sappiano quello che fanno?

Lo capisco, è difficile credere che il management di un’azienda di quel livello commetta errori di Marketing, ma se hai capito bene quello che ho cercato di spiegare è che qui il “reparto Marketing”, c’entra ben poco. 

Siamo ancora nella 2^ era del Marketing, quella finanza-centrica in cui il Marketing è relegato al banale ruolo di comunicazione.

Queste sono le estensioni di linea Coca Cola presenti sul mercato oltre al marchio storico.

Queste estensioni di linea fanno sì che la gente non sappia più cos’è Coca Cola.

Seguimi un attimo.

Se ti dico che la Coca Cola Zero non fa male perché è senza zucchero, cosa ti sto dicendo se non che la Coca Cola Classica fa male?

Capisci quanto disastrosa possa essere l’estensione di linea?

La Pepsi si è mossa diversamente, ha acquisito altri Brand, e probabilmente non sai nemmeno che sono della pepsi.

Dal punto di vista del Marketing nessuna delle due aziende è perfetta, ma Pepsi negli anni si è mossa meglio e i risultati si vedono

Cito dall’articolo linkato:

La notizia più calda di questi giorni nel mondo del marketing è che nell’ultimo trimestre, terminato a giugno, le vendite del gruppo PepsiCo sono raddoppiate rispetto a quelle di Coca Cola

Ecco i numeri: le vendite nette del gruppo di Atlanta sono calate del 25 per cento, arrivando a 7,2 miliardi di dollari; quelle di PepsiCo hanno subito una diminuzione solo del 3 per cento assestandosi a 15,95 miliardi di dollari.

Tutto questo ha vari livelli di spiegazione: il gruppo Coca Cola è molto centralizzato sulla popolare bibita che dà il nome all’azienda ed evidentemente la chiusura di ristoranti, bar, cinema e impianti sportivi (HoReCa) – che rappresentano la metà delle entrate del gruppo – ha influito pesantemente sul fatturato.

PepsiCo invece negli ultimi dieci anni ha iniziato un’importante strategia di diversificazione di mercato, andando a collocarsi in altri comparti come quello degli snack (le patatine Lays, Doritos e Cheetos) e della prima colazione (i fiocchi d’avena a marchio Quaker) che hanno sofferto meno del lockdown anche perché ideali per il consumo in casa. Addirittura i già citati fiocchi d’avena hanno registrato un sorprendente +23 per cento durante il lockdown.

Voglio mostrarti un esempio simpatico di estensione di linea disastrosa.

Se dico Colgate, a cosa pensi?

Al dentifricio, giusto?

Non ci sono dubbi.

Colgate-Palmolive Company è una multinazionale americana che si occupa della produzione e della distribuzione di prodotti per la cura del corpo, per la pulizia della casa e per l’igiene orale.

Parliamo di un colosso mondiale che fattura 16 miliardi.

Insomma, sanno quello che fanno, no?

Colgate non è un qualsiasi Brand di dentifricio. 
Colgate è il Brand “top of mind”, nella categoria dentifricio.
Nella testa del consumatore Colgate = Dentifricio e viceversa.
 
Negli anni 80 Colgate ha lanciato un nuovo prodotto a marchio Colgate.
 
Com’è andata?
 
È andata che non te lo ricordi nemmeno perché fu un fallimento epocale.
 
Non ci credi? Clicca qui.
 
La storia è piena zeppa di fallimenti come questo.
Wired ne ha raccolti un bel po’, in questo articolo. 

Apple vs Sony

Un altro confronto che merita di essere citato è quello tra queste due Big Company.

Alcuni anni fa, Sony fatturava più del triplo di Apple.

Oggi Sony fattura 8.665 miliardi di Yen, corrispondenti a circa 80 miliardi di dollari.

Il fatturato odierno di Apple è di circa 275 miliardi di dollari. Apple oggi fattura più del triplo di Sony.

Se poi guardiamo al mercato azionario, la differenza è ancora più incredibile. Apple capitalizza 3 trilioni di dollari. 3.000 miliardi di dollari.

Qual è la differenza tra queste due aziende? 

Te lo spiego io. Anzi te lo spiega Al Ries.

Guarda questa immagine.

Le persone pensano in termini di prodotti ma parlano in “Brand”, dice sempre Al Ries.

Questo significa che tu stesso pensi “Vorrei un Energy drink” ma in realtà pronunci le parole “Mi dai una RedBull?”

Quando pensi “Vorrei un fazzolettino” in realtà dici “Mi dai un Kleenex?”

Questo è ciò che in Sony si ostinano a non capire.

La differenza tra Apple e Sony è tutta qui: mentre Sony appiccicava il nome “Sony” su tutto quello che poteva, Apple lanciava nuovi Brand. 

iPhone in primis che è la macchina da soldi più importante di Apple, poi iPod, iPad e Mac. 

Con questi 4 Brand Apple ha dominato – e domina – il mondo dell’hi-tech.

Hai mai sentito qualcuno dire “Mi sono comprato lo Smartphone della Apple”? 

No.

Le persone pensano in termini di Prodotti ma parlano in Brand.

Al Ries

La gente dice “Mi sono comprato l’iPhone”.

Se invece qualcuno Ti dicesse “Mi sono comprato il Sony” gli risponderesti “Sì, ok, ma cosa? Il televisore? Il video registratore? L’asciugacapelli?”

Questa è la differenza tra creare nuovi Brand ed estendere linea a casaccio pensando che il Brand della casa madre sostenga tutti i prodotti.

Nel 2012, anno nel quale Sony perse 3 miliardi di sterline, l’azienda si rese conto di dover fare qualcosa.

Alla guida del gruppo venne promosso Kazuo Hirai, uno degli uomini chiave dietro il successo di Play Station.

A proposito: ci hai fatto caso? Play Station è un successo da anni. 

Qualcuno la lega a Sony? No. 

È un Brand a sé, per questo funziona benissimo.

Il nuovo CEO di Sony decise di intraprendere un processo molto simile a quello che Steve Jobs intraprese quando tornò in Apple.

Disse: “La nostra azienda si vuole focalizzare su produrre meno prodotti ma di qualità altissima”.

Focalizzare, ma guarda un po’.

BMW, MERCEDES E MASERATI

Prendiamo in esame Bmw e Mercedes. 

Due Brand che competono sullo stesso mercato, quello delle auto e che, su una specifica fascia di prezzo sono Leader e Co Leader.

Diciamo intanto subito una cosa. 

La foto qui sopra: quei loghi non sono “il Brand”. 

Sono due stemmi che da soli non hanno alcun valore. Ciò che dà loro valore è la promessa, sottesa dal posizionamento. 

E il posizionamento, come vedrai, è qualcosa di molto concreto.

Bmw si è posizionata come “The Ultimate Driving Machine”, mentre Mercedes si propone come “Build unlike any other” .

Per 9 anni consecutivi, dal 2001 al 2009, la BMW è stata l’auto di lusso per eccellenza.

Un risultato straordinario ottenuto anche grazie alla focalizzazione sul piacere di guidare.

BMW si è concentrata sull’immenso piacere di guidare una BMW e focalizzandosi su quel singolo attributo – concreto – ha costruito il suo successo.

Poi sono arrivati i “geni” che hanno cambiato il posizionamento e hanno iniziato a parlare di JOY

Gioia.

Il concetto di Gioia non funziona.

Non funziona perché il consumatore non riesce a visualizzare la gioia, perché è un concetto astratto. 

The Ultimate Driving Machine è diverso, guidare è qualcosa che facciamo ogni giorno.

Risultato?

Dal 2010 BMW ha perso la Leadership a scapito di Mercedes che ora è il primo Brand.

Ciò che funziona non si tocca.

Restando nell’automotive, un altro errore degno di nota è quello commesso da Maserati. 

Maserati nella mente delle persone è “Auto di lusso”.

Maserati, purtroppo, ha commesso il classico errore di estendere la linea e voler essere, invece, un’auto “per tutti”.

Qualche anno fa il management disse 

“Vogliamo che Maserati rappresenti il lusso accessibile”.

Lusso Accessibile è un Ossimoro. 

Se è lusso non è accessibile, e viceversa. Questa comunicazione disperde il posizionamento e confonde i clienti.

Chi compra una Maserati vuole essere diverso da chi non se la può permettere, anzi, se la compra proprio per quello. Se gli dici che è accessibile, non la vuole più.

Nel 2018 Maserati ha venduto meno auto del 2014 e i ricavi sono crollati quasi del 90%.

Il nuovo CEO, Mike Manley, è un uomo che viene dal Marketing, e pare se ne sia accorto. Infatti ha dichiarato che la prima causa del crollo è il “posizionamento” e che “è stato un errore trattare Maserati come un brand mass-market”.

Se fai auto di lusso da 150.000 € non puoi metterti a fare auto da 70.000, e poi fai an che un SUV perché tanto il SUV lo fanno tutti

Chi fino al giorno prima pensava di sedere su un Brand di lusso da 150.000 €, lo vede in giro metà prezzo e ti molla.

COME FARE POSIZIONAMENTO

Entriamo ora nella fase 2 di questo mio lungo articolo.

Abbiamo visto un bel po’ di teoria, e tanti casi pratici di posizionamento fatto bene, benissimo, male  e malissimo.

Ma in concreto, come si fa posizionamento?

Per spiegartelo al meglio ti mostro alcuni casi di Brand Positioning riuscitissimi.

La Procter & Gamble, cito da Wikipedia:

Il gruppo Procter & Gamble è una multinazionale americana di beni di largo consumo con sede a Cincinnati, Ohio (USA).

Nell’anno 2017 presentava circa 92 000 dipendenti, 100 stabilimenti di produzione e 20 centri di ricerca.

L’esercizio precedente è stato chiuso da Procter & Gamble con un fatturato di 66,8 miliardi di dollari, per un utile netto di 9,8 miliardi.

Il bello di questa enorme azienda è che molti ne ignorano l’esistenza.

Eppure, 2/3 dei prodotti che abbiamo in casa, li fanno loro.

Questa è un’azienda che conosce l’importanza del Brand Positioning.

Pensa un attimo al modo di creare Brand delle PMI Italiane.

Un’azienda italiana che vende Infissi, solitamente si chiama “Rossi e Figli, snc”.

La Rossi e Figli Snc vende infissi. E come si chiamano gli infissi?

Rossi e Figli Infissi, naturalmente.

Se domani decidessero di fare anche serramenti, li chiamerebbero Serramenti Rossi e Figli.

Per il 97% delle aziende italiane la ragione sociale è il Brand.

La Procter & Gamble, quando lancia un Rasoio non lo chiama “Rasabarb Procter & Gamble”.

Lo chiama Gillette.

Se lo vuoi elettrico, lo chiamano Braun e se sei donna ti fanno il Venus. 

Ad ogni target il Brand giusto, con il nome giusto ed il giusto messaggio.

Questo è il posizionamento.

Ricordi: “Creare una variante di un prodotto o servizio che esiste già sul mercato, ma che è più adatta per una nicchia specifica.”

Gli uomini si fanno la Barba, e allora P&G ha creato il Brand Gillette.

Ma tra gli uomini ci sarà chi preferisce la lametta e chi vuole il rasoio elettrico.

Per questi ultimi la Procter & Gamble non ha fatto “Procter & Gamble rasoio Elettrico” e non ha fatto nemmeno “Gillette Electric”. 

Non l’ha fatto perché Gillette nella testa dei consumatori è la lametta.

Ha creato Braun, un Brand nuovo, tutto per gli amanti dell’elettrico.

E per le donne non ha fatto “P&G rasoio For Woman”, ha fatto Venus.

Se devono lanciare una colla per dentiere non la chiamano “P&G reggi dentiera”, la chiamano Kukident.

Non voglio fartela troppo lunga, ma sappi che la Procter & Gamble produce anche la crema di bellezza Oil Of Olaz, Ambipur che purifica l’ambiente ed è già una lezione sul Brandname, il Mastrolindo, il Dash e un’altra infinità di brand di cui casa tua è piena.

UNA PROMESSA IMPONENTE

"If You Buy This Bottle Of Whisky, You Get A Piece Of Land In Scotland For Free!"

Compra una bottiglia di Whisky e ti regaliamo un pezzo di Scozia!

Una promessa imponente.

Il posizionamento è qualcosa che avviene nella mente dei clienti.

L’ho detto, scritto e ripetuto non so quante volte.

Voglio mostrarti un esempio di come si possa entrare nella testa dei clienti, con una singola azione di Marketing.

E restarci per sempre.

Laphroaig è una distilleria di Single Malt situata nell’isola di Islay a ovest della Scozia.

Una bottiglia di Whisky arriva a costare anche più di 5000 €.

Ma al di là di questo, il vero posizionamento avviene con la scatola.

La scatola – meravigliosa – contiene un biglietto.

In pratica per ogni bottiglia venduta ti assegnano un lotto di terra numerato, Tuo.

Tutto questo marchia a fuoco il nome Laphroaig nella testa dei clienti.

Gli amanti del Laphroaig partono per andare a piantare la bandierina sul proprio pezzo di Scozia.

Capisci quanto impattante sia il mantenere una promessa?

ATTENTO AL WEB

Qui apro una parentesi sulla legge della leadership di cui Ti ho parlato in precedenza.

Ti ho detto e ridetto che quando ci sono un Leader e un Co Leader la cosa migliore, anzi l’unica, è quella di creare una variante di un prodotto o servizio che esiste già sul mercato ma è più adatta per una nicchia specifica.

Ma attento al web, soprattutto se lavori nel campo delle application.

Il web in realtà è un mercato cosiddetto Leader Only.

Cioè il Leader si prende tutto

Ti mostro alcuni esempi. 

Se io dico motore di ricerca il motore di ricerca è Google, punto.

Non ce ne sono altri, o meglio va bene ci sono, ma hanno dei numeri assolutamente ridicoli.

Se io dico Social Network, dico Facebook. Punto.

In un mercato di prodotti tangibili ci sarebbe ampio spazio per un secondo Brand – e anzi, la presenza dell’uno farebbe la fortuna dell’altro. Ci tornerò.

Nel web questo non accade. 

Se crei una variante di qualcosa che esiste già, devi stare molto attento perché ti può andare “bene”, tra virgolette, o malissimo.

Non è una questione di soldi. Ricordi Richard Branson e la sua Virgin Cola? Ecco, anche qui non è una questione di soldi.

Google ne ha tanti di soldi. 

Te lo ricordi Google PlusHa provato a scalzare Facebook dal ruolo di Leader. Doveva essere la grande alternativa a Facebook, con le sue innovative cerchie. 

È finita come sappiamo

Questo è quello che succede quando va malissimo. Ora ti mostro cosa succede quanto va “benino.”

Creare una variante di un prodotto che esiste già, ma che è più adatta ad una nicchia specifica.

Pensa ad Instagram.

Instagram che oggi è di Facebook è nato andando ad intercettare una nicchia degli utenti di Facebook.

Quella nicchia specifica di persone che ama condividere foto.

Instagram stava succhiando traffico a Facebook e allora Zuckerberg se l’è comprato.

E Snapchat?

Qualcuno si è accorse che dentro Facebook c’era una nicchia di persone che era molto interessata ai piccoli video, alle cosiddette stories.

SnapChat ha inventato le stories. 

Solito discorso, Facebook è andato dal CEO di Snapchat per comprarlo, la risposta è stata “No, no io non vendo, 3 miliardi di dollari sono pochi“.

Allora Mark Zuckerberg è andato dai suoi sviluppatori e gli ha detto:  “Signori miei, siccome non è stato possibile acquistare Snapchat, siccome queste stories piacciono e ci stanno portando via un sacco di traffico, mettete le stories anche su Instagram”. 

E questo è quello che è successo.

A fine 2016 Instagram ha inserito le stories. Tempo sei mesi e ha superato le storie di Snapchat.

Il 2 febbraio 2017 La Stampa  titola: Per Snapchat è già iniziato il declino?

Le leggi del posizionamento non perdonano.

IL BRAND POSITIONING

Mi avvio a concludere questo corposo articolo. 

Un amico Senatore mi ha insegnato che quando una persona dice “mi avvio a concludere” significa che si trova più o meno a metà.

Io non sono a metà, sono ben oltre ma tieniti forte perché adesso viene davvero il bello.

Ora vediamo quali sono in concreto le azioni da fare per costruire un Brand e posizionarlo nella mente dei consumatori.

Concedimi una breve premessa. 

Posizionare un brand è un’operazione nient’affatto semplice, anzi, credo sia la più difficile in assoluto. 

È naturale che le azioni da compiere dipendono dal settore, dal prodotto o servizio e dai competitor, ma l’obiettivo è sempre lo stesso.

Prendi un paio di scarpe. 

È chiaro che se hai la possibilità di far leva su un qualcosa di visibile e tangibile, sul modello, su una storia da raccontare, la nostre lavorazioni sulla vera pelle etc, e soprattutto su un attributo che le rende “uniche”, è più semplice.

Prendi Loboutin.

La suola rossa inconfondibile è il dettaglio che rende uniche queste scarpe. 

Pensaci. 

Se qualcun altro facesse la stessa cosa con il Blu o con qualsiasi altro colore, verrebbe visto come una brutta copia di Laboutin e farebbe solo Marketing per il leader. 

È così che funziona.

Secondo diverse ricerche, una persona è passata dal vedere circa 500 messaggi pubblicitari al giorno degli anni 70 ad un numero che va dai 5.000 ai 10.000 odierni.

Siamo sempre più stufi della pervasività degli spot e per questo abbiamo alzato oltre modo le nostre difese.

La quantità di pubblicità che ignoriamo senza nemmeno leggere il titolo è impressionante.

Differenziarsi è obbligatorio.

C’è una cosa che finora non ti ho detto, o almeno non in modo preciso. 

Il posizionamento nasce dai numeri.

Se non l’hai ancora capito, provo a spiegartelo in pochissime parole. Il Marketing non è comunicazione ma posizionamento, e il posizionamento è un’attività di Business Management, non di creatività.

Il posizionamento nasce dai numeri, i numeri della tua azienda, ed è un’attività che comprende una parte analitica estremamente profonda e complessa.

Presta bene attenzione alle pagine che seguono, perché c’è la Bibbia del posizionamento differenziante.

Credimi, se volessi potrei impaginare questo articolo in pdf e venderlo a 40/50.000€, perché, applicando quello che c’è scritto, qualsiasi impresa darebbe una accelerata mostruosa al proprio business.

Non lo faccio perché io ho una missione che non è solo quella di fare soldi, certo che lavoro per i soldi, certo che potrei farne un libro e venderne 500.000 copie, è ovvio, ma io voglio vendere 500.000 copie sia per godermi i profitti, che per aiutare 500.000 imprese.

Significherebbe spiegare a 500.000 imprenditori che con alcuni accorgimenti possono rilanciare la propria azienda o lanciarne una da zero.

Non puoi immaginare cosa mi è costato in termini di studio, di ricerca ed analisi dei dati.

Cominciamo, dai. 

COME POSIZIONARE UN BRAND

Siamo giunti alla fine di questo viaggio nel Positioning.

Ho deciso di farti un regalo immenso, stilando un intero piano di Marketing. Applicando quello che trovi nelle pagine seguenti non potrai sbagliare. 

Ho preparato una guida passo passo per differenziarsi dai competitor ed usare il Marketing per fare quello che è davvero il suo compito: vendere di più, più volte e possibilmente ad un prezzo più alto. *

Tra le tante slide che si vedono in giro, questa è quella sulla quale occorre passare più tempo.

Questa slide riassume tutto quello che è possibile dire e scrivere sul Brand Positioning.

  • Ci deve essere un mercato. Un mercato è un bisogno per la cui soluzione una nicchia importante di persone sta già spendendo soldi.
  • Ci vuole una soluzione tua.
  • Ci vuole un angolo di attacco che spieghi ai consumatori il perché devono preferire la tua a quella degli altri.

 

Non ci sono commodity. Ci sono solo persone che pensano e operano con la logica da commodity.

Ted Levitt

Come ti ho detto e ridetto, il posizionamento parte dai numeri.

I numeri, i primi che devi guardare sono quelli della tua azienda. Sulla base di quelli bisogna creare la tua USP, Unique Selling Proposition.

Vediamo un po’ come.

Il lavoro sui numeri della tua azienda è in un certo senso, “preliminare” al Brand Positioning, perché se non inquadri lo stato attuale, difficilmente puoi capire dove conviene andare. 

Analizzando in profondità i numeri, infatti, potresti scoprire di avere già un discreto posizionamento.

Parliamoci chiaro, il tuo lavoro di imprenditore è quello di creare sempre più margini sulle vendite. 

Il lavoro di un’imprenditore non è quello di vendere sempre più pezzi o servizi, perché una vendita si può chiudere anche in pareggio o addirittura in perdita.

Il lavoro di un imprenditore è creare margini, per questo motivo, è importante il Brand. 

Il compito di un imprenditore è quello di investire sugli asset per generare profitti, ma quello che bisogna assolutamente capire è che l’asset più importante è il Brand.

Quindi, il lavoro di un imprenditore è quello di creare un Brand che generi sempre maggiori profitti.

Ora però, c’è un problema. 

Il problema è che probabilmente non sei una startup. 

Hai già un’azienda, hai già delle attrezzature, dei dipendenti, degli uffici e stai già vendendo dei prodotti e dei servizi. 

Su questi prodotti e servizi vuoi appiccicare un Brand, ed è una operazione molto molto complessa, perché andrebbe fatto l’esatto contrario. 

Si analizza il mercato, si cerca una nicchia profittevole e si crea un Brand che risolve un problema a quella nicchia in modo diverso rispetto agli altri.

Non posso certo chiederti di smontare l’azienda e ricrearla da zero, per questo ho pensato di farti un esempio concreto, seppure all’inverso, partendo da un’azienda esistente e dal mercato esistente.

Ma passiamo ai numeri.

I numeri di cui hai bisogno, quelli che io ti chiederei per aiutarti a posizionare il tuo Brand, sono quelli dei tuoi clienti, classificati in più modi, e aggregati secondo uno o più denominatori comuni.

Hai dei clienti, giusto? Quanti ne hai? 100, 2.000? 50.000?

Devi segmentare la tua lista clienti e classificarli in base ad uno o più denominatori comuni.

Te lo anticipo: non c’è una soluzione unica. Devi analizzare l’azienda da più angolazioni.

È per questo che parto dai numeri, perché quella che è la realtà dei numeri non mente, non è ciò che tu pensi dell’azienda, ma è ciò che effettivamente è.

NIko Romito, miglior Chef d'Europa

L’azienda, la tua azienda, ha già un posizionamento. 

Per quanto sballato e mal gestito sia, se qualcuno compra da te, lo farà per un motivo, no? 

Ecco. I numeri ti aiutano a capire qual è questo motivo.

Vediamo un esempio a caso.

Immagina di essere un dentista e di metterti ad analizzare a fondo i tuoi numeri e trovare questa situazione.

In questa simulazione, ripeto sono numeri completamente inventati, ho deciso di classificare i clienti per fascia d’età e di capire su quale di queste si margina di più.

Una prima immediata indicazione è che i cinquantenni generano oltre il 50% dei margini. 

Come vedi già questa banale analisi ci dice qualcosa di molto concreto. Il target su cui questo dentista margina di più è quello dei cinquantenni.

Naturalmente questa semplice suddivisione può essere applicata a qualsiasi business. 

Se hai una Web Agency, per esempio, potresti classificare i tuoi clienti come in tabella.

Anche in questo caso c’è una tipologia di cliente che da sola cuba oltre il 50% dei margini aziendali.

Come ti dicevo non c’è una classificazione migliore delle altre. Ogni classificazione ti offre un determinato punto di vista. 

Scegliendo diverse angolazioni, si riesce ad inquadrare al meglio l’azienda allo stato di fatto e da lì partire per definire un posizionamento differenziante.

Fatto questo, bisogna andare più a fondo con l’analisi e giungere ad un elemento fondamentale: il margine per prodotto/servizio.

Prendiamo di nuovo l’esempio del dentista e dei suoi 180.000€ di margini.

Supponiamo che i numeri siano quelli in tabella. 

Il 50% dei margini deriva da impianti.

Lo so, sto semplificando moltissimo dei concetti che richiedono un enorme lavoro, ma è importante tu capisca che non puoi lavorare sul brand se non fai questo lavoro.

Ti risparmio le tabelle successive in cui ho classificato i clienti aggregandoli in base al margine, per età e per tipologia prodotto.

Devo per forza di cose, generare una matrice.

Non ho fatto altro che incrociare i dati derivanti da quei 180.000€ di margini, classificati in base ad età e tipologia di prodotto.

Il posizionamento inconscio di questo dentista è sugli impianti ai cinquantenni: quasi il 30% dei margini gli arriva da lì. 

Questo non è un dato che si può ignorare.

Questo è quello che ci dicono i numeri. 

Ora se io fossi il consulente di questo dentista, andrei ancora più a fondo nell’analisi per aggiungere il numero dei clienti, il numero delle prestazioni e il margine medio per prestazione. 

Questo comincia ad essere più complesso, ma se vuoi fare una analisi fatta come si deve, devi arrivare qui.

Lo faccio io per te.

Ti ripeto per l’ennesima volta che si tratta di numeri inventati, ma sono necessari per farti capire come devi procedere per analizzare la tua situazione attuale.

Questa ulteriore classificazione, cosa ci dice? 

Beh, ci dice per esempio che i cinquantenni sono disposti a spendere di più

Ti sembra un dato interessante? 

A me sì. Molto.

Questo è il modo in cui devi procedere per capire cosa sta succedendo in azienda e se nel farlo ti accorgi che alcune operazioni le fai in pareggio o addirittura in perdita, a meno che non siano il frutto di una precisa strategia di acquisizione mirata al Life Time Value, devi smetterla, subito.

Dopo l’analisi della tua azienda, sarai in grado di capire quale dei tuoi prodotti servizi ti offre il vero margine. 

A quel punto, raffrontando questo dato con quello derivante da una altrettanto approfondita analisi di mercato, si studia il posizionamento.

Se il tuo margine deriva dagli impianti, guarda cosa fanno i tuoi competitor, e soprattutto cosa dicono, relativamente a quel servizio.  

C’è qualcuno dei tuoi competitor che sta spingendo il Marketing sugli impianti? 

In che termini? 

  • Esiste un “Leader” percepito in quel campo?
  • Vale la pena spingere il Marketing in quella direzione? 
  • Se la risposta è sì, quale potrebbe essere un posizionamento differenziante? 

A questo punto costruisci il tuo “Brand Positioning Statement

Cioè il tuo “annuncio differenziante”.

Lascia che ti spieghi.

Se io sono un commercialista e il mio messaggio di marketing dice “Io sono un commercialista” la risposta media del mercato sarà: e chissenfrega?

Non è un messaggio differenziante perché non è focalizzato.

Devi rivolgere il tuo messaggio ad un target specifico.

Esempio: 

“Lo Studio Associato Verdi è uno studio di commercialisti dedicato esclusivamente alle startup”

Vedi come comincia la differenziazione?

Ma non basta. 

Non basta perché la differenziazione deve essere competitiva. Deve cioè spiegare qual è il fattore differenziante sui competitors.

“A differenza dei commercialisti tradizionali che seguono ogni tipo di azienda, noi seguiamo solo startup e questo per il cliente significa che sappiamo gestire meglio i problemi di avviamento di una startup”

Capisci come cambia la musica? 

Immagina una palestra. 
 
Se i materiali di marketing si limitano a dire “Siamo una palestra”, non c’è nessun motivo per cui qualcuno debba preferirla ad un’altra.
 
Se invece il messaggio è:
 
“Noi siamo una palestra esclusiva per i manager molto impegnati che non hanno mai tempo per allenarsi. 

Per questo motivo apriamo alle cinque del mattino e chiudiamo  a mezzanotte“.

Questo sì che è differenziante. 

Vogliamo solo manager, quindi persone altospendenti.

Il messaggio è rivolto solo ai manager molto impegnati e li fa sentire importanti.

Il Brand Positioning Statement deve guidare i tuoi materiali di Marketing in questo modo.

«Brand» è «cosa è» che «cosa fa»
a differenza dei concorrenti che «cosa fanno i concorrenti» noi «idea differenziante».
E questo per il cliente significa «beneficio del nostro prodotto/servizio»
 

Ecco come si fa Positioning.

Ora guarda questo.

Un dentista per sole donne.

Non conosco il Dott. Chiellini, ma il Dottor Chiellini conosce l’importanza del Focus e del Brand Positioning.

Secondo te le donne preferiranno andare in uno studio dentistico “generalista” o uno “specializzato” nel sorriso femminile?

Lo vedi che il Positioning funziona ovunque?

Devi solo analizzare a fondo il mercato ed intercettare la nicchia giusta per poi diventarne Leader.

Come ti ho già spiegato, puoi pensare a leader in ogni mercato:

Niko Romito è uno Chef. 

Ci sono decine di Ristoranti, ma cenare da Casadonna è un’esperienza unica e per farlo devi prenotare un anno prima.

iPad è un tablet. 

Ha le stesse funzionalità di altri 500 tablet in commercio, ma quando è uscito in moltissimi hanno dormito fuori dal negozio per comprarlo.

La T-Shirts di Supreme è una banale maglietta in cotone. 

Ce ne sono centinaia identiche in commercio, ma quella di Supreme costa 200 €

Questi Brand, non sono nati così. 

Sono partiti tutti da zero, come te.

Ma mentre tu sei lì a combattere la battaglia dei prezzi a colpi di saldi e ribassi perenni e margini risicati, loro – con un Brand Positioning efficace – hanno conquistato la mente dei clienti. 

Ed è una cosa che puoi e anzi, devi fare anche tu per il tuo business.

Non ha importanza il mercato in cui si opera: il Brand Positioning funziona.

Sempre.

Il segreto è il Focus.

Questo è un altro capolavoro di Al Ries che ti consiglio assolutamente di acquistare.

A quanto pare è tutto noto sin dai tempi di Platone, ma gli imprenditori e, ahimè, gli uomini di Marketing, continuano a non capirlo.

Ricordi Carglass? 

Possedere una parola o un concetto nella mente del consumatore è il fine ultimo del Posizionamento. 

POSITIONING NEI BUSINESS GEOLOCALIZZATI

Spendo qualche parola in più sul posizionamento dei business geolocalizzati.

Moltissime PMI in Italia, sono nate proprio con questa logica: “nella mia zona non c’è nessuno che vende questo, quindi lo faccio io”.

Come ho scritto all’inizio di questo lungo articolo, questa strategia andava benissimo nell’era del prodotto

Oggi è molto rischiosa, ma poiché la stragrande maggioranza delle PMI sono strutturate così, analizziamo l’unica strategia vincente.

Se domattina un competitor di qualche catena americana che vende il tuo stesso prodotto ti apre di fronte e ti attacca sul prezzo, quanto riesci a resistere prima di fallire?

Te lo dico io: molto poco.

E allora siccome potrebbe succedere domani, devi arrivarci preparato.

La prima cosa che devi fare è focalizzarti. 

Non ti è ancora chiaro che il focus è un strategia fondamentale per vincere? 

Trova un singolo attributo sul quale focalizzarti e spingi a tutta forza il tuo Marketing su quell’attributo. 

In secondo luogo non estendere la linea, nemmeno sotto tortura.  

Facendolo appesantirai la tua struttura e non potrai passare al terzo step, che è quello vincente. 

Espanderti

Qualunque cosa tu venda, resta focalizzato su un singolo attributo, spingi il Marketing su quell’attributo e poi espanditi, replicando i tuoi punti vendita. 

Se sei focalizzato sei snello, e replicarti non è complicato.

Aggredisci i comuni vicini, i paesi vicini, le città vicine

Guarda Queen’s Chips.

Hanno un modello di business che sta conquistando il paese.

Sono estremamente focalizzati. Fanno solo patatine fritte. Punto. Entri, prendi le patatine ed esci.

È difficile aprire un altro punto vendita? Certo che no. Devi solo trovare il locale giusto. Dopodiché fai il pieno di patatine  nei freezer e buon lavoro.

Crea il tuo fortino diventando capillare, diventando il più presente possibile.

Il Focus ti permette di tenere bassi i costi di gestione e di avere così l’obiettivo, da qui ai prossimi 3, 5 anni, di espanderti, nella misura in cui puoi permetterti di farlo con un maniacale controllo di gestione.

L’obiettivo è essere il primo nella mente.

I primi nella mente. 

Ricordatelo sempre. 

Nella mente, non nel mercato.

NON VINCE CHI ARRIVA PRIMA SUL MERCATO

Non vince il primo brand che arriva sul mercato.

Vince il primo brand che arriva nella mente dei consumatori.

Il Brand Positioning è quel meccanismo psicologico che permette, alla comparsa di un determinato bisogno nella mente del consumatore, di generare un richiamo immediato ad un determinato brand.

Esempio banale.
– La grandine mi ha rotto il parabrezza.
– Bisogno = Ripararlo.
– Richiamo immediato = Carglass.
Questo è il Brand Positioning.

Il primo Brand di automobili negli USA è Ford, ma Duryea Motor Wagon aveva realizzato un’automobile diversi anni prima.

È arrivata prima sul mercato, ma non nella mente.

Oggi se pensi a un TV Color ti viene in mente qualche Brand tipo LG o giù di lì, ma il primo televisore lo produsse la DuMont Laboratories.

È arrivata prima sul mercato, non nella mente.

Se dico lavatrice, probabilmente pensi a Candy o Indesit, ma la prima lavatrice la fece la Hurley Machine Company.

Questi prodotti, sono arrivati per primi sul mercato, ma non basta, anzi, non serve a nulla se non sei il primo nella mente dei tuoi clienti.

L’ERA DEL POSITIONING

Al Ries e Jack Trout ne parlarono nel 72. 50 anni dopo è iniziata davvero: l’era del Positioning.

Non vince il miglior prodotto.

Vince il miglior Brandname

Vince il miglior Timing.

Vince la miglior Strategia.

Vince il Brand Positioning.

Voglio chiudere con una chicca sull’importanza del Timing.

Come hai visto non basta arrivare primi sul mercato. È importante arrivare primi nella mente del consumatore.

Ma è importante anche azzeccare il Timing giusto.

Conosci Helbiz, vero?

I monopattini di questa azienda italo-americana stanno conquistando il mondo  e presto l’azienda si quoterà in borsa.

Il loro business model è semplice. In un mondo sempre più trafficato, avere la possibilità di muoversi agevolmente è un valore aggiunto.

Credi che Helbiz sia la prima azienda che ha avuto quest’idea?

la signora in foto è Lady Norman, socialista e attivista inglese, sul suo Autoped.

La foto è del 1916.

DA DOVE COMINCIO?

Arrivati a questo punto di materiale ne hai tanto, spunti penso di avertene dati un bel po’. Tuttavia sono certo ti starai chiedendo: Ale, ma da dove comincio?
Beh, comincia dal più grande esperto italiano.
Oh, ti ringrazio, ma no, non sono io. 

Il migliore, secondo me, è Marco De Veglia.
 
Marco vive a Miami e quindi non è proprio facile prenderci un caffè.
 

Per fortuna però, esistono i libri e Marco ne ha scritto uno, con la Prefazione di Jack Trout.

P. S. Quando ho scritto questo articolo, Marco de Veglia era ancora tra noi. Qualche settimana dopo ha avuto l’orrenda idea di lasciarci.

Approfitto per ringraziarlo di tutto quello che mi ha insegnato.

CONSULENZA PRIVATA CON ME

Se invece vuoi agire davvero, allora prenota una consulenza con me e mi metterò a studiare per Te, per trovare l’idea differenziante per la Tua impresa.

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P. S2. In questo blog non ci sono Call To Action di vendita. Non vendo nulla, non ho info-prodotti, non ho accordi con nessuno.

Una cosa però devo chiedertela.

Ho impiegato quasi un mese per scrivere questo post.

Se credi meriti di essere letto, fallo girare, condividilo sui tuoi social o sul tuo blog, su whatsapp, dove vuoi.

Grazie.