È iniziata l'era delle Community
Una decina di anni fa Lego lanciò il progetto Lego Ideas.
Si trattava, anzi, si tratta visto che esiste tuttora, di un portale dedicato agli amanti dei mattoncini colorati, in cui chiunque può proporre la propria idea di prodotto e la community può votare i progetti più interessanti.
I più votati finiscono sugli scaffali.
Da quando Lego Ideas esiste sono stati annunciati oltre 40 prodotti ideati dai consumatori e più di 30 sono già stati realizzati e finiti sul mercato.
La cosa che maggiormente colpisce di questo incredibile esperimento, è che nel 2013 Lego “vantava” un calo delle vendite del 29% in tutto il mondo e circa 800 milioni di dollari di debiti accumulati.
Insomma, LEGO stava fallendo.
Nel 2015 LEGO ha superato Ferrari ed è diventato il brand più potente al mondo e nel 2020 AdWeek lo giudica come “Il marchio più amato al mondo”.
Sono diversi i fattori che hanno portato alla rinascita di Lego, e tra questi gioca un ruolo determinante l’aver dato voce ad alla propria Community.
Utilizzare le informazioni dedotte e quelle osservate per personalizzare le comunicazioni, oggi non basta. Per migliorare il business bisogna usare anche i dati condivisi intenzionalmente e proattivamente dai consumatori.
ZERO-PARTY DATA.
Lego l’ha capito prima.
Un paio di anni fa alcuni analisti di Forrester spiegavano come le aziende possono sfruttare, in tempo reale, una serie di preziose informazioni fornite dagli utenti per arrivare a una personalizzazione costruita davvero su misura.
L’efficacia di una campagna oggi non può prescindere dalla profilazione accurata del target.
Faccio parte di quella schiera di uomini di Marketing cosiddetti data-driven.
Traduco per i non addetti ai lavori: se un azione di marketing funziona lo dicono i dati, e i dati si ottengono solo tramite test (per esempio A/B). Punto
Without data you’re just another person with an opinion
Tutto il resto sono opinioni, ipotesi, congetture, chiacchiere.
Oggi giorno le startup che vincono sono quelle che prima intercettano un bisogno e poi realizzano una soluzione diversa rispetto a quella presente sul mercato.
Il 95% delle startup fallisce e, nella stragrande maggioranza dei casi, fallisce perché ha progettato e realizzato una soluzione ad un problema che non c’è.
Vince, come dicevo, chi intercetta un bisogno che esiste già sul mercato e crea una soluzione diversa.
È superfluo citare Netflix, Uber, AirBnb.
I mercati sono conversazioni.
I mercati sono conversazioni, recita The Cluetrain Manifesto, e chi riesce ad intercettarle, semplicemente vince.
Emblematica in questo senso la storia che qualche anno fa toccò Algida, nota casa produttrice di gelato confezionato.
Per ragioni tecniche Algida decise di togliere dal mercato il Winner Taco.
Alcuni anni dopo, due ragazzi crearono su facebook una pagina, dal nome abbastanza eloquente: Ridateci il Winner Taco.
In brevissimo tempo la pagina raggiunse decine di migliaia di fan che, con messaggi anche molto simpatici chiedevano il ritorno dell’amato gelato.
Non solo: i fan, cominciarono ad invadere letteralmente la pagina Algida, al punto che il Brand non riusciva più a comunicare sui social con la propria fanbase senza essere sommerso di messaggi sul Winner Taco.
L’azienda alla fine cedette e pubblicò questo post.
C’è traccia di un gran ritorno.
L’orso polare bianco è il simbolo del Winner Taco e la sua traccia era il chiaro segno del fatto che il gelato tanto amato stava tornando.
Qualche giorno dopo, a Ponte Milvio apparve questa gigantesca installazione, con la scritta: l’attesa è finita il Winner Taco è tornato
Gli amministratori della pagina andarono in peregrinaggio presso il monolite e immortalarono tutto in un video.
La fan page di Algida cambiò copertina e la gioia dei fan esplose.
Ti invito a contare i like, i commenti e le condivisioni del post-annuncio del ritorno del Winner Taco e quelli precedenti.
Mentre prima c’erano circa 20/30 like e 1 al massimo 2 condivisioni, l’annuncio del ritorno conta 3.000 like, 3.000 condivisioni e migliaia di commenti.
Questa simpatica storia ci insegna molte cose.
Alcune sono ben delineate nelle dichiarazioni di Tommaso Vitali, group manager ice cream Unilever Italia:
“Abbiamo imparato ad ascoltare e analizzare con attenzione i messaggi che le persone e in particolar modo i fan dei nostri prodotti trasmettono attraverso internet. Solo in questo modo possiamo comprendere le reali tendenze del mercato e rispondere in modo corretto con i nostri prodotti. 13 anni fa l’azienda ha deciso di non continuare a produrre questo gelato. Ma ascoltando e analizzando le richieste della rete abbiamo compreso che si trattava di un reale movimento di fan che dimostravano un reale e concreto amore per Winner Taco”
I mercati sono conversazioni.
Ascoltare ed analizzare le conversazioni è la strategia migliore in assoluto per vincere sul mercato.
Se ne deduce, però, che il tutto non può essere relegato ad una piattaforma terza, e alla speranza che qualche utente (nel caso del Winner Taco furono due ragazzi) si dia da fare per dar voce alla community latente.
I Brand devono loro adoperarsi affinché le community abbiano uno spazio nel quale ritrovarsi, aggregarsi, discutere.
Sull’importanza dell’aver una community sono stati scritti libri, ci sono fiumi di interviste, e tesi di laurea.
In molti lo hanno capito. Hanno capito che sviluppare una community su piattaforme terze porta alcuni vantaggi ma diverse problematiche.
Se la tua community si ritrova su Facebook hai a che fare diverse enormi limitazioni.
- Un post di una pagina di un brand che conta un milione di fans, viene letto sì e no da 10, 20.000 persone al massimo. L’engagement è irrilevante.
- I dati dei “tuoi” clienti non sono tuoi, sono di facebook.
- La personalizzazione è pressoché impossibile.
La comunicazioni quindi è ridotta a banali annunci che saranno letti solo da una piccola parte del proprio pubblico.
In sostanza, si spendono enormi quantità di tempo e soldi per costruire messaggi coinvolgenti, attrattivi, interessanti che mirano ad aumentare l’engagement, la brand awareness e, in definitiva, a costruire una relazione con la propria fan base.
Tuttavia, come dicevo più su, solo l’1 o il 2, 3% delle persone che ci seguono, vedono i post che la pagina pubblica.
E non è detto che siano quelli davvero interessati al nostro Brand.
Vuoi raggiungere più pubblico?
Paga. Questo fanno gli algoritmi dei social network
Giustamente, aggiungo.
Pubblicare post organici è come avere un canale televisivo che però va in onda i lunedì alle 3.20 del mattino.
Vuoi andare in onda alle 8? Paga.
Alle 13? Paga di più.
In prime time? Chiedi un prestito.
Questa è la realtà.
E c’è di più. Anzi, di peggio.
Perché puoi pagare per essere visto da più pubblico, ma non puoi scegliere – se non in maniera molto, molto limitata – a quale tipo di pubblico mostrare i contenuti.
Non puoi, in sostanza, dire a queste piattaforme di mostrare le tue inserzioni solo a chi è davvero interessato al tuo brand.
Alle problematiche di cui ti parlavo prima ed a quelle appena elencate, relativamente ad avere una community su una piattaforma terza, aggiungi anche che Safari e Firefox hanno già bloccato i cookie di terze parti, e di fatto impedito la profilazione utente.
Google Chrome fermerà tutto nel 2022
E il GDPR sarà ancora più stringente.
Immagina di essere Mark Zuckerberg
Sei il proprietario di facebook ed hai il totale accesso ai dati degli utenti. Sai perfettamente quali sono quelli davvero affezionati al tuo brand e vicini alla tua mission.
Quanto potresti profilare le tue campagne di marketing?
Quanto potresti ricevere dalla tua fan base in termini di consigli, suggerimenti e veri e propri insegnamenti?
Se Algida avesse avuto una community di proprietà non avrebbe mai tolto dal mercato il Winner Taco, perché gli sarebbe bastato interpellare i propri utenti per capire che si sarebbe scatenato l’inferno.
O magari lo avrebbe tolto, ma – consapevole del baccano mediatico – avrebbe gestito in modo migliore il tutto nell’ambito di una strategia di rilancio del Taco.
Immagina, quindi, di avere un tuo social network, con i tuoi utenti. In cui loro scambiano opinioni ed informazioni relativamente al tuo Brand.
L’hai immaginato?
Un sogno, vero?
Bene.
Qualcuno, invece, l’ha realizzato.
Si chiama SelfCommunity ed ho avuto la fortuna di conoscere il CEO.
Quando ha iniziato a parlarmene ho capito subito l’impatto che SelfCommunity avrà, nel giro di pochi mesi, nell’ecosistema digitale.
Chi ha un e-commerce, per esempio, ma direi chiunque abbia a he fare con un pubblico, dovrebbe immediatamente costruire la propria community.
Ad oggi chi ha un e-commerce ha due dati:
- L’Anagrafica cliente
- Lo Storico acquisti
- Se vogliamo poi ha il livello di frequentazione (quanto si logga, etc)
Con SelfCommunity, se hai un e-commerce libri l’utente è profilato in modo estremamente specifico. Anzi: unico.
Grazie ai contenuti che l’utente visita, è possibile sapere quali categorie lo interessano maggiormente (narrativa, romanzi rosa, fantasy); posso sapere quali autori segue e quindi quali proporgli con la certezza che gli interessino; in base a quali persone segue e da cui è seguito posso addirittura prevedere cosa acquisterà.
Se ha messo like ad un post che parlava (bene o male) di un determinato libro ho una informazione determinante.
Tutte queste informazioni insieme disegnano un profilo sartoriale di ogni utente a cui vengono mostrati solo i contenuti che maggiormente lo interessano.
È una rivoluzione.
È il marketing 7.0
Come ho detto e ribadito, vince chi intercetta un bisogno che esiste già sul mercato e crea una soluzione diversa.
Infatti, esistono già soluzioni per community, ma SelfCommunity è l’unica supportata da una tecnologia di social networking nativa, che la rende diversa da tutte le altre.
Per questo è molto, molto interessante.